Le intercettazioni costano troppo, come dice il candidato di Fratelli d’Italia Carlo Nordio? Forse sì, ma la soluzione non è certo la sua proposta di limitarne l’uso. Piuttosto contenere e razionalizzare la spesa, visto che al momento – come ricorda sul Messaggero il presidente del Copasir Adolfo Urso – “non c’è controllo di alcun tipo sulle tariffe e sulle società a cui vengono affidate le captazioni”, il che comporta “una differenza abnorme nei costi, con Procure che spendono mille e altre che spendono cento”. In realtà un modo per evitarlo ci sarebbe: determinare il costo (equo) del servizio per legge. È quello che aveva previsto la riforma del processo penale dell’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando, e che il suo successore Alfonso Bonafede ha provato a mettere in pratica varando uno schema di decreto legislativo. Provvedimento, però, accantonato dalla Guardasigilli del governo dei Migliori, Marta Cartabia, e rimasto lettera morta. Offrendo l’assist perfetto ai tentativi di restaurazione delle destre (capeggiate da Nordio in quanto ministro in pectore): limitare gli strumenti d’indagine con la scusa del risparmio.

Vediamo i dettagli. La riforma Orlando del 2017 prevedeva che “con decreto del ministro della Giustizia, di concerto con il ministro dell’Economia e delle finanze”, fossero definite “le prestazioni funzionali alle operazioni di intercettazione e (…) determinate le corrispondenti tariffe“. In particolare si stabiliva che la tariffa per ciascun tipo di prestazione (intercettazione telefonica, ambientale, telematica…) fosse determinata “in misura non superiore al costo medio, come rilevato nel biennio precedente”, tra i cinque distretti giudiziari con il maggiore indice di spesa (che al momento sono Palermo, Roma, Napoli, Milano e Reggio Calabria). Il testo avrebbe poi dovuto essere aggiornato ogni due anni sulla base, tra l’altro, “delle variazioni dei costi dei servizi”. Quel provvedimento è stato effettivamente messo a punto dal Governo Conte II con il Guardasigilli Alfonso Bonafede, che l’8 febbraio 2021 – pochi giorni prima di lasciare il posto a Cartabia – trasmetteva alle Camere lo schema di decreto per il parere obbligatorio. Nelle tabelle allegate si leggeva, ad esempio, che il costo massimo giornaliero di un’intercettazione telefonica è fissato a 2,42 euro, quello di un’ambientale audio/video a 53,04 (ma se installata a bordo di un veicolo sale a 75, compreso il segnale gps), quello di un trojan (il captatore informatico installato a distanza nei cellulari, che funziona come un registratore) di 120 euro.

Quello schema di decreto ha ricevuto parere favorevole dalle Commissioni Giustizia di entrambi i rami del Parlamento, ma non è mai stato trasformato in legge dal governo Draghi. Il perché è spiegato nella relazione del Copasir “sulla disciplina per l’utilizzo di contratti secretati, anche con riferimento al noleggio di diversi sistemi di intercettazione”, trasmessa alle Camere il 21 ottobre del 2021. Durante l’audizione di due giorni prima a palazzo San Macuto – si legge – la ministra Cartabia “ha spiegato che è in corso una riflessione sulla materia in ragione della quale non si è ancora proceduto all’adozione definitiva del decreto ministeriale”. In particolare, riferiva Cartabia, “armonizzare le tariffe è un elemento problematico nell’interlocuzione con le Procure”, perché “il tariffario proposto – che vede l’accorpamento di alcune voci – è stato considerato troppo rigido e pone problemi nei casi in cui fissa tariffe di molto inferiori alla media“. Il che suona singolare, perché – come abbiamo detto – la tariffa massima è stata calcolata sulla base del costo medio dei cinque distretti con la spesa più alta e pertanto avrebbe dovuto essere del tutto in grado di coprire i costi. Tant’è, la legge non c’è ancora. E il prossimo ministro della Giustizia è pronto ad approfittarsene per risolvere il problema a suo modo.

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