Chissà se il 2022 sarà ricordato come la prima di una serie di annate estremamente siccitose oppure stagioni irregolari si alterneranno di qui in avanti. “Mai visto niente del genere”, dice il presidente di Assoenologi Riccardo Cotarella. Si stima una produzione in calo di circa il 10% e si rincorrono titoli che parlano di allarme ed emergenza. Sono passati 25 anni dal protocollo di Kyoto e tanti di più dai primi studi sul riscaldamento globale, e siamo ora a interrogarci su soluzioni puntuali in mezzo a crisi annunciate che dureranno decenni, di cui abbiamo responsabilità.

E perché non proprio il vino a guidare un cambiamento netto in agricoltura? È la domanda che arriva dal sito JancisRobinson.com (Jancis Robinson è una delle principali giornaliste e critiche di vino al mondo, dirige il sito citato e scrive sul Financial Times), in una riflessione del produttore Dudley Brown, che Robinson stessa introduce come “un pezzo fondamentale. Forse l’articolo più impegnativo e d’indagine che ho letto finora sulla sostenibilità nell’industria del vino”, Over the rainbow – sustainability and farming systems. L’articolo introduce i diversi approcci alla viticoltura (conventional, organic, biodynamic and regenerative), per poi analizzare perché potrebbe essere proprio il settore vinicolo a trainare, gradualmente e pragmaticamente, la transizione verso una sostenibilità reale e non di facciata.

“Al riscaldamento del clima si risponde lavorando sul singolo particolare (il gene, il portainnesto ecc.) distogliendo lo sguardo dall’ecosistema nel suo complesso, dalla visione complessiva di questa natura sempre più ibrida e spacciata”, scrive Corrado Dottori nel libro bellissimo Come vignaioli alla fine dell’estate. L’ecologia vista da una vigna, per l’editore Derive e Approdi. Al di là dei sovesci e del cover crop per mantenere l’umidità nel suolo, della maggiore resistenza e memoria delle vigne vecchie, della sostituzione dei varietali o dello spostamento in alto dei vigneti, dell’irrigazione necessaria (ma con quale acqua?) e dei portainnesti più idonei, la domanda è: per quanto ancora si potrà andare avanti adattandosi e tamponando anziché prendere atto che, così come è oggi, l’agricoltura (soltanto l’agricoltura?) non è sostenibile, le bottiglie più leggere non bastano, ed è necessario sviluppare – ed esigere – un’agenda politica con la crisi climatica tra i primissimi punti?

Questo video di Will Media, della giornalista Silvia Lazzaris, cerca di spiegare “come il cambiamento climatico favorisce la siccità” e alcune conseguenze pratiche future.

“Quello che si sta osservando e a cui andremo sempre più incontro è l’alternanza pericolosa di periodi in cui si ha assenza di precipitazioni e poi quando piove, piove in maniera troppo abbondante”, nota Serena Giacomin, meteorologa, climatologia e presidente dell’Italian Climate Network. L’agricoltura impiega circa il 70% dell’acqua utilizzata per le attività umane e contribuisce al 24% delle emissioni di gas serra globali, con gran parte delle colture destinate alla produzione di mangime per il bestiame, pascolo e allevamento. Ogni anno consumiamo sempre più risorse di quanto la terra sia in grado di generare. Queste cose si sanno, ma voglio ripeterle: non si parla di utopie, si parla di egoismo giustificato da necessità e racconti: “Oggi il consumo di un francese è di 5,8 ettari di spazio bioproduttivo, il che equivale a un bisogno di tre pianeti se tutti vivessero come lui, mentre nel 1960 era un solo pianeta. Questo significa forse che oggi i francesi consumano (o debbano per forza consumare, nda) tre volte più legumi, carne, gas, elettricità che cinquant’anni fa’? (‘Per un’abbondanza frugale’, Serge Latouche, Bollati Boringhieri editore).

E il vino dove si colloca? Il vino è, o dovrebbe essere, un prodotto agricolo, ma, ricorda Brown nell’articolo prima citato, non è un prodotto necessario alla sussistenza. Dato che è evidente che le risorse del pianeta non sono infinite e “il mondo non sarà in grado di alimentarsi nel futuro in assenza di cambiamenti significativi nel modo in cui coltiviamo”, la viticoltura è più a rischio di altre attività agricole, a patto che non ci sia un cambiamento sostanziale. Per questo motivo, si legge, potrebbe essere il settore capace di guidare un “radically honest change in the industry”, con una netta presa di posizione in merito all’importanza della protezione e rigenerazione del suolo e i cicli sostenibili del carbonio (per capire meglio l’approccio rigenerativo e il sequestro di carbonio: Kiss the Ground documentario che si sviluppa proprio intorno alla necessità della protezione e rigenerazione del suolo.

“Se la governance opera partendo da questo punto di vista piuttosto che dal breve e medio termine delle preferenze (più immediate) dei suoi membri, fornirà all’industria vinicola la migliore possibilità di sopravvivenza come industria vitale e di successo sul lungo termine”. La ricerca verso il massimo livello di sostenibilità avrebbe certo un prezzo e non poche opposizioni interne, ma permetterebbe di creare un sistema composto da realtà più indipendenti e resistenti agli shock che inevitabilmente arriveranno. “In parole povere – è la conclusione di Brown – potremmo davvero guidare il mondo in un modo serio che attualmente non facciamo”.

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