di Andrea Vivalda

E’ uno dei temi caldi della campagna elettorale, rappresentando per le coalizioni politiche di sinistra e progressiste un elemento di ingiustizia socio-economica. L’effetto, dati alla mano, sarebbe in effetti quello di far pagare più tasse a chi guadagna meno, facendone pagare di meno ai più benestanti. Ma proviamo a guardare la flax tax dall’altro lato, da quello della piccola e media imprenditoria, ovvero da quello degli elettori delle forze di centro-destra che l’hanno inserita come misura nel loro programma di governo: anche vista da questo lato, pur ignorandone i risvolti di ingiustizia sociale, la flat tax appare tutt’altro che conveniente.

Facciamo qualche esempio (ogni riferimento a cose o persone realmente esistenti è meramente casuale). Da un lato la piccola azienda viti-vinicola di Mario, una di quelle che rappresentano l’eccellenza della nostra manifattura e del “Made in Italy”. L’azienda fattura 250 mila euro l’anno. Con le attuali aliquote fiscali progressive, ricade dunque nell’aliquota del 43%, la più alta.
Dall’altro la “Superwine”, sempre nel settore viti-vinicolo, è un grande gruppo che a colpi di acquisizioni ha raggiunto un livello di produzione altissimo, magari è anche quotato in borsa e nell’assetto societario ha una partecipazione di un fondo di private equity. La Superwine fattura due milioni di euro l’anno e ricade dunque anch’essa nell’aliquota del 43%.

Bene, ora valutiamo gli effetti dell’introduzione di una flat tax al 15%: l’azienda di Mario, passando dal 43% al 15%, “risparmierebbe” 70 mila euro in tasse; la Superwine invece, “risparmierebbe” 560 mila euro. Ciò vorrebbe dire che, di colpo, la Superwine avrebbe rispetto l’azienda di Mario un vantaggio competitivo immediato di più del doppio del suo stesso fatturato, tale da distruggere l’equilibrio di concorrenza esistente e da poter letteralmente buttar fuori Mario dal mercato: o fallirà o verrà acquisito dalla Superwine per pochi soldi.

In ogni settore dell’economia le grandi imprese, i gruppi internazionali e le multinazionali otterrebbero un enorme vantaggio competitivo sulle medie e piccole, e più è grande l’impresa più il vantaggio sarebbe grande. L’equilibrio esistente della concorrenza di mercato, principio cardine del liberismo a garanzia della stessa libertà di imprendere, verrebbe scalzato da un giorno all’altro, favorendo i mega gruppi internazionali e uccidendo la piccola e media impresa. Non solo dunque ingiusta per le fasce più deboli, ma anche pericolosa per tutti i piccoli-medi imprenditori, proprio quelli che costituiscono la base di quelle forze politiche come Lega e Forza Italia che sostengono a gran voce la riforma.

Del resto è sufficiente vedere dove, nel mondo, la tassazione è gestita con la flat tax. Bene, non esiste in nessuno dei più prosperosi paesi liberali, quelli che hanno il liberismo alla base del loro schema economico: non esiste negli Stati Uniti d’America, in Gran Bretagna, in Francia, in Olanda e così via: proprio a tutela dell’equilibrio della concorrenza in tutti gli stati occidentali liberali la tassazione è rigorosamente progressiva.

Ma allora dove esiste la flat tax? Alcuni esempi: Russia, Bielorussia, Estonia, Ungheria (l’elenco completo). La flat tax esiste infatti nei paesi che, ben lontani dallo schema liberale, hanno un’economia basata su uno schema oligarchico, dove solo pochi maxi-possidenti controllano la produzione e dove la libertà di imprendere per i piccoli non è consentita, perché il mercato è distorto dallo smisurato vantaggio competitivo dei pochi grandi.

Dietro lo sbandieramento della flax tax come toccasana per le imprese da parte del centrodestra dunque, al di là dei problemi di copertura non ben definita, si cela il pericolo reale della morte del mercato per i piccoli-medi imprenditori a vantaggio dei grandi gruppi, nella direzione di uno schema economico oligarchico che di fatto ucciderebbe l’economia liberale.

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