Il 30 luglio Ahmed Samir Santawy, lo studente egiziano dell’Università centrale europea di Vienna, è tornato in libertà a seguito di una grazia presidenziale: dopo un anno e mezzo di carcere, uno sciopero della fame di un mese, due processi e altrettante condanne per il solito reato fasullo di “diffusione di notizie false”. Negli ultimi giorni sono emersi dalla prigione di massima sicurezza di Tora, la più famigerata d’Egitto, dettagli su cosa ha rischiato Santawy una decina di giorni prima della scarcerazione e sulle rappresaglie ordinate contro un compagno di prigionia che aveva cercato di aiutarlo.

A Tora, a luglio, c’è un nuovo focolaio di Covid-19. Nel reparto di Santawy vengono spruzzate quantità industriali di cloro per disinfettare corridoi e celle. Lo studente di Vienna, che già presenta sintomi di contagio in una cella d’isolamento di due metri per due metri e mezzo, mostra i primi segni di soffocamento. A Tora non esiste una procedura di pronto intervento in caso di emergenze sanitarie. Ne hanno fatto le spese in molti, come Shady Habash, direttore dei video del cantante in esilio Ramy Essam.

La cella di Santawy viene aperta solo un’ora dopo e il detenuto, non prima di aver avuto una discussione col direttore della prigione al termine della quale sviene, riceve finalmente i soccorsi.

Durante quei 60 minuti un prigioniero si prodiga per richiamare l’attenzione e sollecitare le cure mediche. È Ahmed Douma, che sta scontando il nono di 15 anni di carcere cui è stato condannato per reati di opinione. Dopo Alaa Abd el-Fattah è il più famoso prigioniero di coscienza egiziano.

Quando Santawy viene portato via, scatta la rappresaglia: Douma viene ammanettato, insultato, aggredito e torturato da uno dei funzionari della prigione, Ahmed Zain, nel suo ufficio. La direzione di Tora, ovviamente, ha rifiutato di aprire un’inchiesta sul diniego di cure mediche a Santawy e sul pestaggio di Douma.

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