Nella decisione di Carlo Calenda di mandare a monte, all’ultimo minuto, l’alleanza programmatica col Pd, non ha giocato solo la proverbiale tracotanza del personaggio in questione. C’è anche la scelta ben precisa e strategica dei settori dominanti del padronato italiano di sganciarsi da ogni schieramento di tipo partitico per far valere in modo più diretto ed efficace le proprie istanze. Ciò anche alla luce della probabile vittoria delle destre colla conseguente formazione di un governo Meloni col ritorno di Salvini al ministero dell’Interno. E dell’opportunità di costituire, in tale prospettiva, un centro mobile libero da ogni possibile – anche labile – ipoteca ideologica, imperniato anche sull’altro pallone gonfiato del centrismo italiano, Matteo Renzi, e più che disponibile a entrare nel governo delle destre per offrire a Meloni & C. la legittimazione derivante dalla continuità con l’esperienza del governo Draghi.

Si tratterà del governo più di destra dalla fine del fascismo, ma il suo programma non differirà poi granché da quello del governo Draghi. Beninteso, ciò sarebbe avvenuto anche nell’ipotesi, al momento abbastanza remota, del prevalere di un’alleanza imperniata sul Pd.

Tuttavia, le esigenze del vacuo teatrino della politica, connesse a quella che un tempo era la democrazia parlamentare, consigliano ai veri decisori interni e soprattutto internazionali di mandare avanti in questo momento la destra, anche per la sua ben nota capacità di andare per le spicce e usare le maniere forti in frangenti come quelli del prossimo autunno, che si annunciano estremamente delicati e complicati. Al punto da indurre l’avveduto banchiere, una volta tramontato il suo sogno presidenziale, di trasmigrare, colla sua ‘candidatura’ a Segretario generale della Nato, ai piani superiore di un Occidente che, parallelamente alla sua crescente irrilevanza su scala mondiale, rafforza la sua vocazione bellica in vista di inevitabili conflitti globali, nucleari o meno.

Tornando al nostro disgraziato Paese, l’uso della Meloni e dei suoi accoliti come frontmen non dispensa i decisori dal predisporre un pannello di controllo più ampio della politica. Possono ovviamente contare come sempre sulla cieca obbedienza di Letta & C., ma hanno altresì ritenuto che l’esistenza di un soggetto indipendente da tutti gli schieramenti esistenti potrebbe risultare più funzionale all’attuazione del programma. Ecco quindi il perché della rottura che Calenda ha voluto imporre a Letta. Sull’orizzonte c’è il tramonto inevitabile della democrazia parlamentare che avverrà non già come temono coloro che ne traggono la conclusione della necessità di una sconclusionata ammucchiata “a difesa della Costituzione”, per opera di Meloni e della destra, ma come conseguenza delle linee strategiche adottate dal governo Draghi di cui lo stesso Calenda, conseguita la propria piena autonomia politica da chiunque, si atteggia oggi a garante.

Queste linee, che proprio Calenda, buffamente smentito dal diretto interessato, volle denominare agenda Draghi, ben le conosciamo e sempre meglio le conosceremo nei prossimi mesi e anni. Si tratterà anzitutto di far digerire agli italiani un’economia che sempre più sarà economia di guerra, con aumenti senza precedenti delle spese militari, crescente subordinazione alla Nato e godimento senza fine degli apparati bipartisan, da Crosetto a Minniti, preposti all’industria della morte. Questa della guerra è la scelta fondamentale del padronato italiano e si accompagna a quella dello sfruttamento senza fine del lavoro precarizzato e spinto tra i ranghi in aumento dei poveri e dei miserabili.

Tutto il resto è poco più che folklore da far gestire a Fratoianni & C. con lamentazioni a giorni alterni su fascismo, razzismo, lobby fossili e altri fenomeni del genere che faranno sempre più parte dello squallido vissuto quotidiano delle nostre pessime classi dominanti, addette a gestire un Paese in decadenza arroccato a difesa di un Occidente anch’esso fortunatamente in rapido e inarrestabile declino.

Che ci sia qualcuno in grado di opporsi a questa deprecabile prospettiva è tutto da vedere. Certamente non lo farà l’imbelle è ingenuo Letta, incaricato della definitiva liquidazione di un patrimonio della storia italiana, tradotto oggi in qualche cadrega e prebenda – sempre meno – da ripartire tra i suoi gregari e quelli associati, i quali, tutti, “tengono famiglia”. Ma neanche lo farà Conte, alla fallimentare ricerca del Sacro Graal della perduta purezza dei Cinquestelle.

Ma la storia ha la testa dura e prima o poi emergerà l’alternativa all’agenda della guerra e della miseria. Tale alternativa dovrà comportare anzitutto il disallineamento strategico dell’Italia dall’Occidente, disallineamento che costituisce oggi l’unica indispensabile garanzia del progresso e della stessa sopravvivenza.

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