di Enzo Marzo

Verso fine secolo ebbe grande successo un film comico francese La cena dei cretini. Il titolo non poteva non tornare in mente alla notizia che i più “irresponsabili della repubblica” si stavano riunendo a cena in casa di un pregiudicato per celebrare la loro vittoria nella gara per chi sono i più cretini dell’intero paese. Mandato allo sfascio.

Il governo Draghi aveva quel compito, non poteva che essere “tecnico”: era retto dall’emergenza più che dalla solidarietà di un guazzabuglio di partiti, i più diversi e contrapposti. L’emergenza si è aggravata ulteriormente con l’invasione dell’Ucraina e le sue conseguenze economiche. La soluzione Mattarella avrebbe retto fin quando tutti fossero rimasti fedeli alla sua ragione d’essere iniziale: realizzare un programma di governo volto a affrontare quelle emergenze e rinunciare a voler trasformare l’ “unità nazionale” in coalizione “politica”. Non è stato così.

La responsabilità del disastro è innanzitutto del M5S che ha fatto saltare l’unità governativa presentando un vero e proprio manifesto politico di nove pagine (programma per un monocolore 5s di un’intera legislatura), condizionando alla sua accettazione la continuazione del sostegno al governo. È ovvio che da quel momento già si rivelava la volontà di rompere la compagine e andare alle elezioni anticipate. Era il disegno esplicito del Movimento che si trasformava nel partito “Meloni subito”. Far valere le proprie ragioni e le proprie esigenze, per il Ms5, era più che legittimo, anzi necessario, ma avrebbe dovuto essere realizzato con una faticosa quotidiana incessante azione politica e non con la scorciatoia di un braccio di ferro perdente già in partenza.

Se in un governo tecnico di unità nazionale ogni forza coinvolta presenta come condizione necessaria e pregiudiziale il proprio programma, è scontato che non è altro che un modo – anche puerile – per far saltare il governo. Uscito da Palazzo Chigi, Giuseppe Conte, era legittimato a entrarci Matteo Salvini con le sue nove pagine, e poi la processione sarebbe continuata con le 9 pagine del Pd, poi con quelle di Leu, poi di +Europa, poi di ogni cespuglio sostenitore del governo. E ognuno col suo ricatto sulla fiducia. Draghi avrebbe avuto sul tavolo un’ottantina di pagine tutte con condizioni ultimative. Salvini, ricordandosi che è lui quello più a suo agio di tutta la classe politica in quella “cena”, ha voluto rinverdire i ricordi del Papeete e, bevuto qualche bicchierino di mojito, ha cominciato a chiedere a Draghi di modificare la formula del suo governo, da unità nazionale a maggioranza politica, senza i 5s. Una sorta di “patto Nazareno” allargato alla Lega.

Così ha realizzato il capolavoro di soffiare a Conte sul filo di lana la palma di guastatore n.1, di farsi leader del partito “Meloni subito” e di addossarsi tutta la responsabilità dei danni che provocherà al paese questa surreale crisi di governo che ha inteso contraddire con una capriola politica il fatto che il paese è davvero nel baratro.

Per carità di patria liquidiamo con poco la dilettantesca strategia contiana che si ritrova, sul piano negativo ma motore primo, ad affiancarsi a Salvini e alla destra come causa di quanto è accaduto. Si ritorna di fatto ai vecchi amori giallo-verdi. E Conte adesso ha in mano una forza ridotta ai minimi termini e senza un’identità (a meno di voler prestare fede senza sghignazzare dal ridere alla fantasticheria di De Masi che sogna un “partito labourista” guidato da un “democristiano” e da un gilet giallo putiniano. Il tutto ovviamente pagato dal paese in anticipo con un “Meloni subito”. Auguri!).

A proposito dei “Meloni subito”. Disperati come siamo, ci aggrappiamo al pensiero che pur sempre rimane la speranza che gli italiani, pressati da drammatiche emergenze, in un sussulto di dignità e di istinto di conservazione, stanchi di questi avventurieri cretini, si decidano di togliere consensi ad una destra accozzaglia di atlantici ma putiniani, di separatisti ma sovranisti, di moderati ma neofascisti, di clericali ma antifrancesco, di novax antiscientisti, di razzisti, di populisti ma soprattutto difensori strenui soltanto dei “privilegiati al quadrato” (cioè quelli che non si accontentano di essere privilegiati ma usano i loro privilegi per accrescerli).

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