Hebert Diess, ingaggiato dal marchio Volkswagen nel 2015 e dal 2018 a capo del gruppo, è stato disarcionato anche da un… Cavallo. Con “c” maiuscola, sì, cioè Daniela Cavallo, la 47enne a capo dei Consigli di Fabbrica della società di Wolfsburg figlia di emigranti italiani (nella foto qui sotto). Il manager austriaco, 63 anni, molti dei quali trascorsi in Bmw, ha raggiunto un accordo consensuale con il Consiglio di Sorveglianza (di cui la rappresentante dei lavoratori fa parte) per liberare la scrivania con il primo settembre. Daniela Cavallo (proprio ieri una giudice del tribunale di Braunschwieg aveva ufficializzato le motivazioni con le quali aveva dichiarato nulle le ultime elezioni dell’organismo di rappresentanza delle maestranze) non figura sicuramente fra i sostenitori del lavoro di Diess, chiamato a sostituire Matthias Müller, dopo che quest’ultimo nell’autunno del 2015 era subentrato a Martin Winterkorn, il Ceo travolto dallo scandalo del dieselgate.

La portavoce dei dipendenti si era schierata contro Diess, che per aumentare l’efficienza del gruppo aveva ipotizzato un significativo ridimensionamento dell’occupazione, in particolare in Germania, inimicandosi anche il governo della Bassa Sassonia, che detiene il 20% dei diritti di voto. Il manager era stato anche piuttosto “sbrigativo” anche altri membri del Consiglio di Sorveglianza. La sua posizione era più volte sembrata traballare anche se lo scorso dicembre era riuscito a farsi confermare la fiducia, ma non a farsi prolungare il contratto. Al contrario, i suoi poteri erano stati ridimensionati con una redistribuzione degli incarichi ed un aumento del numero delle poltrone nel CdA. Tra i “peccati originali” di Diess c’è probabilmente anche la sua provenienza, ossia Bmw. Fra i 12 membri del board, compreso l’ormai futuro ex Ceo, un terzo ha trascorsi recenti presso il costruttore bavarese. Gli altri sono Markus Duesmann (numero uno di Audi), Murat Aksel (capo degli acquisti) e Hildegard Wortmann (responsabile delle vendite).

Con la contemporanea designazione di Oliver Blume, di 10 anni più giovane, i pieni poteri tornano in mano a un manager cresciuto nel gruppo: l’attuale amministratore delegato di Porsche ha cominciato a lavorare per Audi nel 1994. Diess ha verosimilmente pagato anche i ritardi di Cariad, la società che si occupa dello sviluppo del software, sotto la sua responsabilità diretta, i volumi al di sotto delle aspettative in Cina, regione sulla quale aveva la supervisione, e i problemi dell’ambizioso progetto Artemis, abbandonato anche da Porsche. Seppur con un versamento congiunto di 9 milioni di euro, assieme a Hans Dieter Pötsch, il presidente del Consiglio di Sorveglianza del gruppo, ha evitato di andare a processo per il dieselgate.

Diess è però anche l’uomo che ha instancabilmente lavorato per ricostruire l’immagine della società, pesantemente danneggiata dallo scandalo sulle emissioni. È l’uomo che ha riorganizzato il gruppo e che lo ha indotto a puntare sull’elettrico, peraltro scartando (forse troppo presto) altre opzioni, dal metano all”idrogeno fino agli eFuel. Insomma: è l’uomo che ha trascinato la società fuori dalla palude del dieselgate. Pare che abbia anche rinunciato all’offerta di Elon Musk per guidare Tesla.

La sensazione è che, almeno nell’immediato, non saranno in molti a rimpiangerlo. Di sicuro non Blume e non solo perché ne prende il posto. L’ad di Porsche – lo era dal 2015 e lo resterà malgrado il nuovo incarico – è meno polarizzante, anche se non necessariamente meno accomodante. Pure lui ingegnere, ha dimostrato con la Taycan di riuscire ad imporre Porsche anche come marchio elettrico. In tandem con Lutz Meschke, il responsabile delle finanze, non solo ha continuato a infilare record di vendita (l’anno scorso per la prima volta oltre le 300.000 unità), ma ha anche incrementato il fatturato e fatto lievitare la redditività. I suoi rapporti con i lavoratori e con il resto del management sono molto più rilassati. I suoi ragionamenti sull’occupazione sono sempre stati improntati almeno al mantenimento dei livelli, ma un conto è guidare un costruttore premium e un altro un gruppo con 12 marchi.

Nel suo doppio ruolo di Ceo dovrà anche pilotare la delicata quotazione in Borsa di Porsche, per la quale immaginava una maggiore indipendenza dalla casa madre della quale assumerà la guida dall’1 settembre. Eredita i cantieri lasciati aperti da Diess: su software, piattaforme ed eco-carburanti aveva visioni diverse. Gli eFuel sono addirittura stati inseriti nel programma di governo della coalizione che guida la Germania grazie, pare, alla sua amicizia con Christian Lindner, il segretario della FDP, il partito liberale che è ministro della Finanze e che, naturalmente, guida una Porsche.

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