La ragazza “si era dimostrata pienamente in sé e in grado di esprimere validamente un consenso“, espresso “in particolare con la mimica e la gestualità”. Sono queste le motivazioni che hanno portato il collegio penale del Tribunale di Ravenna ad assolvere due ragazzi, un 25enne di origine romena e un 27enne di origine senegalese (età all’epoca dei fatti ndr), accusati di violenza sessuale su una ragazza all’epoca 18enne. La sentenza, che ha fatto discutere suscitando l’indignazione delle associazioni, risale al febbraio scorso e secondo la difesa della giovane si trattava di un “retaggio ancora una volta di tipo patriarcale per cui le condotte degli uomini abusanti vanno nella maggior parte dei casi giustificati”.

Secondo quanto scritto dai giudici, appena 15 minuti prima “di avere il rapporto in contestazione”, la 18enne era riuscita a interloquire con gli amici e, al telefono, aveva scambiato alcuni messaggi “circa l’orario del suo rientro” con la madre, fornendo “risposte congrue alle sue domande”. Per questo, appunto, secondo i giudici la ragazza era in grado di “esprimere validamente un consenso”, come riporta il Resto del Carlino.

Per i due ragazzi, accusati di violenza sessuale di gruppo per induzione con abuso delle condizioni della vittima reduce da una serata particolarmente alcolica, la Procura aveva chiesto 9 anni di carcere a testa: l’allora 25 enne aveva avuto il rapporto mentre l’altro, il 27enne, aveva filmato con il cellulare spronando l’amico. La vicenda risale alla notte tra il 5 e il 7 ottobre del 2017: dopo aver bevuto vari bicchieri di vino e superalcolici in un locale di Ravenna, la giovane era stata portata in spalla in un appartamento e infilata sotto la doccia. Dopo il caffe e conati di vomito, era arrivato il rapporto sessuale. Ricordando frammenti della serata, pochi giorni dopo il fatto, la giovane era andata a denunciare quanto accaduto insieme al fidanzato. Ma per i giudici, appunto, “il fatto non costituisce reato”.

Per i giudici che hanno firmato la sentenza, inoltre, si legge sempre nelle motivazioni, non risulta che il 27enne avesse impedito a una testimone “di soccorrere l’amica”. In quanto ai filmati, riguardanti sia le docce che il rapporto sessuale, sebbene l’azione venga considerata “rozza e deprecabile”, per i giudici non ha agevolato “la violenza contestata”. Per quanto riguarda il rapporto sessuale, invece, il collegio penale del Tribunale della città romagnola ha in particolare analizzato gli orari dei fatti: all’una, all’uscita dal locale la ragazza era ubriaca. Alle 2.01 è stata infilata sotto la doccia “per farla riprendere”. Un’ora dopo, alle 3, è andata al bagno “camminando da sola” e alle 4.05, appena 15 minuti prima del rapporto contestato, ha scambiato messaggi con la madre “circa l’orario del suo rientro”. Poi appunto, alle 4,22, il rapporto sul divano. In quel momento, secondo i giudici, “non è affatto pacifico che gli imputati fossero in grado di rendersi conto che la giovane non fosse ancora compiutamente in possesso della piena capacità di autodeterminarsi sessualmente”. Anzi, secondo la Corte, dai video “non si apprezza costrizione o manovra seduttiva, istigativa o persuasiva” del 25enne, né “passività inerte o incoscienza della vittima”. Per la pm Angela Scorza, che ha chiesto i 9 anni a testa, invece, la giovane “non era in grado di prestare un consenso libero”.

La vicenda aveva conosciuto altri tre pronunciamenti da parte di giudici: due differenti Gip di Ravenna avevano emesso altrettante misure cautelari in carcere, poi annullate dal Tribunale del Riesame di Bologna che, analizzando i video, così come il tribunale di Ravenna, aveva ritenuto la giovane “pienamente in grado di esprimere un valido consenso al rapporto sessuale”, sebbene “in uno stato di non piena lucidità”. Ora appare scontato il ricordo in appello della procura.

Foto/la protesta delle associazioni dopo la sentenza di febbraio

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