C’era una specie di Banda Bassotti in doppiopetto ai vertici di Veneto Banca, l’istituto di credito trevigiano protagonista di un colossale crac che ha gettato sul lastrico decine di migliaia di piccoli risparmiatori? Non lo sapremo mai, perché, nonostante tre rinvii a giudizio, l’ipotesi di associazione per delinquere finalizzata alla truffa è destinata a finire in prescrizione. “Non ci sarà alcun processo, è tutto finito”: allarga le braccia il pubblico ministero Massimo De Bortoli, che assieme alla collega Gabriella Cama ha sostenuto l’accusa in uno dei filoni dell’inchiesta che è destinato a finire in una bolla di sapone. Già altre volte il magistrato ha dovuto constatare che, nonostante l’impegno investigativo, i procedimenti a carico di banchieri e funzionari sono destinati ad evaporare a causa dei termini della prescrizione. Quando a febbraio ha ottenuto la condanna a 4 anni di reclusione in primo grado per l’ex amministratore delegato Vincenzo Consoli, aveva già dovuto constatare che il reato di aggiotaggio era prescritto e così lo saranno il falso in prospetto e l’ostacolo alla vigilanza bancaria, con confisca di 223 milioni di euro, prima che si arrivi all’appello.

L’accusa di associazione per delinquere, su cui si è espresso il gup Piera De Stefani, ha portato a tre rinvii a giudizio, due dichiarazioni di non luogo a procedere e un sequestro conservativo di 53,5 milioni di euro. Fatica inutile, verrebbe da dire, anche se l’accusa riguarda l’accordo che sosteneva le vendite di azioni sopravvalutate del 77 per cento e poi miseramente crollate, quindi uno degli aspetti cruciali del raggiro di cui i risparmiatori sono stati vittime. Secondo la Procura perfino il consiglio di amministrazione e il collegio sindacale erano all’oscuro della trama finanziaria.

Gli imputati erano cinque. Oltre a Vincenzo Consoli, l’ex condirettore generale ed ex responsabile dell’area commerciale Mosè Fagiani, l’ex responsabile della direzione centrale pianificazione e controllo Renato Merlo, il suo successore Giuseppe Cais e l’ex direttore del settore Capital management Andrea Zanatta. Il giudice, dopo quattro ore di camera di consiglio, ha rinviato a giudizio Consoli, Merlo e Fagiani, ma soltanto per le accuse di truffa riferite al periodo successivo al 15 gennaio 2015, visto che quelle precedenti sono state dichiarate prescritte. In questo modo non è stata accolta la tesi della Procura secondo cui le truffe si sarebbero consumate non al momento della vendita delle azioni, ma quando la banca era stata liquidata e il valore dei titoli si era praticamente azzerato. Cais e Zanatta sono stati prosciolti per non aver commesso il fatto.

La Procura aveva stimato un danno subito per la vendita dei titoli pari a 107 milioni di euro. Su questa base è stato disposto un sequestro conservativo per 53,5 milioni di euro nei confronti dei tre rinviati a giudizio. Basta la data della prima udienza, fissata al 9 novembre 2023, per capire come il Tribunale non abbia alcuna speranza di portare a termine il processo. Un paio di mesi dopo, infatti, scatterà la prescrizione. Abbastanza soddisfatti i difensori: “Lo avevamo detto all’inizio e lo abbiamo ripetuto in aula: questo processo non aveva ragione di esistere”.

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