Con l’art. 6 del disegno di legge sulla concorrenza, divenuto l’articolo 8 della delibera di approvazione del Senato, il nostro governo sta spogliando l’Italia delle sue ultime fonti di produzione di “lavoro” e di “ricchezza nazionale”. Tali disposizioni, infatti, impongono la collocazione sul mercato interno europeo, inscindibilmente legato al mercato generale, di beni e gestione di servizi pubblici che fanno parte del demanio costituzionale, che ha come fine il perseguimento di interessi generali e pertanto non possono essere ceduti o gestiti da privati e S.p.A. private (ancor peggio se a capitale pubblico), che devono perseguire gli interessi di singoli privati o dei soci della società gestita da un proprio consiglio di amministrazione. Si tratta in particolare di dare a privati la gestione dei servizi pubblici essenziali di taxi e balneari, nonché della distribuzione dell’acqua e altre cose di questo genere.

Il governo, il Parlamento e persino molti giuristi non si sono resi conto che, una volta ammessa con il trattato di Maastricht la circolazione europea dei capitali appartenenti agli Stati membri, gli Stati economicamente più deboli come l’Italia sarebbero stati sopraffatti dalla concorrenza straniera degli Stati economicamente più forti.

Inoltre un altro colpo alla tutela economica dell’Italia fu dato dal ministro del Tesoro Beniamino Andreatta, il quale, con lettera del 12 febbraio 1981 diretta a Carlo Azeglio Ciampi, Governatore della Banca d’Italia, sollevò la Banca d’Italia dall’obbligo di acquistare i titoli del tesoro rimasti invenduti, impedendo così alla nostra Banca centrale di trattenere il debito presso di noi e non farlo acquistare dagli speculatori del mercato generale.

Uno scudo contro questi madornali errori è costituito dall’esistenza del nostro ”demanio pubblico”, che riserva al popolo, sottraendoli alla “concorrenza”, i beni denominati “beni fuori commercio”, “beni comuni”, “beni in proprietà pubblica”, e quindi, in una parola, “beni demaniali”. In pratica, tutti quei beni e servizi che, secondo i principi fondamentali e i diritti fondamentali della Costituzione, devono essere ritenuti, attraverso una chiara interpretazione dell’intero sistema costituzionale, in “proprietà pubblica” del popolo (art. 42 della Costituzione, primo comma), e cioè “riservati”, quanto all’appartenenza e quanto alla fruizione, al popolo italiano o a singole collettività territoriali, sottraendoli alle richieste di chiunque voglia acquistarli o gestirli. Si parla perciò di “proprietà collettiva demaniale, inalienabile e incomprimibile”.

In realtà la Costituzione vieta sia le “privatizzazioni” (in pratica la vendita) sia la “concessione a privati della gestione” dei nominati beni e servizi pubblici, poiché i privati, agendo secondo le regole della concorrenza e del massimo profitto individuale, perseguirebbero interessi privati individuali e non l’interesse generale delle collettività interessate.

Quanto al “servizio taxi” deve dirsi che esso, in quanto “servizio essenziale” in appartenenza e fruizione di una determinata collettività, non può essere oggetto di bando europeo e deve essere riservato alla titolarità e alla gestione “dell’ente esponenziale della collettività”, o di “comunità di lavoratori o di utenti”, ai sensi dell’art. 43 Cost., i quali sono tenuti a utilizzare il sistema del concorso o della concessione di apposita licenza per la scelta dei tassisti. Né si dica che ci costringe a ciò una norma europea, poiché le norme dei trattati, secondo una consolidata interpretazione della Corte costituzionale, non possono ledere i “principi fondamentali e i diritti fondamentali” della Costituzione.

Ed è da avvertire che detto disegno di legge sulla concorrenza è costituzionalmente illegittimo e che, se fosse trasformato in legge, sarebbe impugnabile con ricorso indiretto davanti la Corte costituzionale.

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