Chiariamo subito: la peste suina africana è una malattia virale, altamente contagiosa e spesso letale, che colpisce suini e cinghiali ma non si trasmette all’uomo. Perché allora è diventata un problema così grave e attuale? La malattia, per la quale non esistono vaccini o terapie, ha gravi conseguenze socio-economiche nei Paesi in cui è diffusa. Già in passato si era fatta notare in alcune zone del mondo, soprattutto in Polonia, Romania, Russia e in Asia, oltre che in Africa dove è ormai endemica. Ma dovunque rimane un’importante emergenza sanitaria per le pesanti ripercussioni che ha sul patrimonio zootecnico suino (fiore all’occhiello di alcune produzioni regionali italiane), con danni ingenti per la salute animale e per il comparto produttivo suinicolo (viene danneggiato il commercio di animali vivi e dei loro prodotti).

Da settimane ormai, molti enti e associazioni sollecitano il governo ad intervenire e ad assumere con urgenza ogni iniziativa utile a contenere e risolvere la crisi economica e gestionale in cui sono precipitate molte aziende. Gli animali colpiti (dopo la comparsa di segni clinici come febbre, inappetenza, andatura incerta, difficoltà respiratorie, secrezioni oculo-nasali, emorragie evidenti su orecchie e fianchi) muoiono in poco tempo, ma quelli che superano la malattia possono restare portatori del virus per circa un anno, giocando dunque un ruolo fondamentale per la sua persistenza in alcune aree.

I casi riscontrati tra i cinghiali morti fra Piemonte e Liguria (la prima segnalazione del 2022 è di inizio gennaio) sono ormai quasi duecento. Confermati alcuni casi anche nel Lazio, nell’area che circonda la Capitale. Prima di queste segnalazioni, nel nostro Paese, la malattia era presente unicamente in Sardegna, dove negli ultimi anni si era comunque registrato un netto miglioramento del quadro epidemiologico. Il virus a Dna rilevato in Piemonte però è geneticamente diverso dalla ‘variante sarda’ e corrisponde invece a quello che circola in Europa da alcuni anni. Ed è molto probabile che, nei prossimi mesi, i casi siano destinati ad aumentare, visto che la densità di cinghiali in alcune aree ha ormai raggiunto valori superiori a quelli che l’ecosistema consentirebbe.

Molte le strategie di eradicazione proposte, tra queste l’incremento degli abbattimenti o la recinzione dell’aree infette. Se però da una parte il controllo numerico dei cinghiali allo stato libero, attraverso una riduzione della loro numerosità, aiuterebbe a contenere la diffusione del virus, dall’altra il depopolamento non è risolutivo, soprattutto perché il cinghiale non è un animale contenuto in una zona ristretta o in un allevamento, ma vive in spazi aperti e senza confini. Così come recintare alcune zone non è compito per nulla agevole, considerando che, ad oggi, l’area infetta in Europa sembra essere di oltre trecentomila kmq e che si tratta di un virus molto resistente nell’ambiente.

La peste suina non si trasmette all’uomo, il quale però in alcune condizioni può essere veicolo indiretto del virus (scarpe, ruote di auto o camion), soprattutto quando turisti, allevatori, cacciatori o veterinari provengono da aree in cui la malattia è presente. E trattandosi di un virus non trasmissibile all’uomo, i prodotti a base di carne suina possono essere consumati in sicurezza. Ma la movimentazione di suini vivi e prodotti suini, inclusi i sottoprodotti, è consentita solo dopo l’esecuzione di rigidi controlli sanitari. Il problema, quindi, finisce per riguardare sia i proprietari di allevamenti infetti – che in alcuni Paesi hanno dovuto abbattere migliaia di capi (oltre che fronteggiare molte misure restrittive) – sia i consumatori vittime dell’inevitabile rincaro dei prodotti.

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