L’arte italiana è apprezzata in tutto il mondo. Forse fin troppo. E non c’è bisogno di ricorrere ai soliti Botticelli e Michelangelo per far perdere la testa, per esempio agli americani.

Basta una terracotta policroma invetriata e smaltata di Benedetto Buglioni – artista operante a Firenze tra XV e XVI secolo, formatosi nella bottega di Andrea Della Robbia – e subito si scatena un pandemonio che riporta l’attenzione su una storia di ben 117 anni fa. Che per ora non ha avuto un lieto fine, perché l’opera al centro della vicenda fu rubata da un tabernacolo vicino a Figline Valdarno, in provincia di Firenze, e qualche anno fa è ricomparsa al Cleveland Museum of Art, in Ohio, dando origine perfino a un’interrogazione di alcuni parlamentari del Movimento 5 Stelle, ai quali il Ministro della Cultura, Dario Franceschini, non ha mai dato risposta. Quindi per ora la terracotta resta oltreoceano, mentre qui da noi cresce la rabbia. Ma andiamo con ordine.

Tutto inizia con l’artista Benedetto Buglioni che realizza – prima del 1521, anno della sua morte – una terracotta policroma invetriata e smaltata (di dimensioni 174 x 96 x 27 cm) raffigurante la Madonna con il bambino, tre cherubini, San Giovanni Gualberto e San Francesco. Per generazioni, i valdarnesi avevano attribuito l’opera ai Della Robbia, ma in realtà era stata realizzata da Buglioni, che bene aveva appreso l’arte di plasmare la terra, cuocerla, dipingerla, dandole infine lucentezza con un sistema di verniciatura trasparente.

A metà del XVIII secolo l’opera è documentata a Ponte agli Stolli, oggi frazione del Comune di Figline e Incisa Valdarno (FI), e lì vi resta fino alla notte tra il 10 e l’11 maggio 1905 quando viene trafugata dalla Cappella Menchi in cui era conservata. Non fu mai più ritrovata. Per quell’atto furono processate ben 14 persone, sei delle quali risultarono i veri autori del furto.

Grazie ai documenti processuali è possibile ricostruire anche i “movimenti” successivi dell’opera: questa venne forse inviata verso Ventimiglia, al confine con la Francia. È infatti qui che nel 1911 risulta di proprietà dell’antiquario di origine tedesche Heilbronner, il quale la mantiene fino al 1914, quando all’inizio del primo conflitto mondiale il governo francese dispone il sequestro dei suoi beni, poi venduti all’asta nel giugno 1921. E come si ricava dall’interrogazione sulla vicenda – presentata dalla senatrice Margherita Corrado (M5S) nell’agosto del 2020 – l’oggetto storico artistico fu “venduto all’asta tenutasi il 22-23 giugno 1921 alla Galleria George Petit di Parigi, attraverso Jacques Seligman passò alla P.W. French & Co e da quella al citato J.H. Wade II, che lo cedette al CMA”, cioè al museo americano di Cleveland, dove appunto nel 2020 è stato riconosciuto.

In tutta questa storia vi è un “però”: la terracotta di Ponte agli Stolli sin dal 1902 era tuttavia protetta dalla legge e non solo non poteva essere rubata, ma neanche lasciare l’Italia. Per questo si trova nell’elenco dei beni sottratti illecitamente del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri. Ciò nonostante, e nonostante l’interrogazione della senatrice Corrado, le ricerche dell’appassionato storico dell’arte Victor Rafael Veronesi, le prese di posizione dei sindaci e delle popolazioni di Figline, i servizi giornalistici di varie testate locali, l’opera resta negli Stati Uniti e il Ministro Franceschini rimane in silenzio.

Chi invece ha parlato – circa una settimana fa – è l’emittente televisiva News 5 Abc (del network Abc) che ha realizzato un servizio sulla vicenda. Proprio Victor Rafael Veronesi ha dichiarato alla tv americana che l’opera del museo potrebbe non coincidere con quella rubata per via di certe piccole differenze riscontrate. Ma al Giornale dell’arte Veronesi ha aggiunto particolari che si rivelano essenziali: “Nel 1963 (secondo un Bollettino museale del 1964) la terracotta già ritenuta robbiana sarebbe stata privata di una cornice a frutti che sarebbe stata aggiunta, verosimilmente nei primi del ’900, o dall’Heilbronner stesso o da un precedente e sconosciuto proprietario, con l’intento di alterare la complessiva percezione dell’opera d’arte. Esistono comunque delle riprese effettuate da un fotografo locale, tale Alcide Cioni (presenti al KHI di Firenze, in Archivio di Stato e nell’archivio Storico della Soprintendenza presso gli Uffizi) tra l’aprile e il marzo del 1903 che mostrano il pezzo mentre era esposto all’interno della Cappella Menchi (altresì detta dell’Immacolata concezione). Queste riprese sono capaci di togliere ogni dubbio circa la possibilità che il pezzo di Cleveland possa essere quello illecitamente sottratto a un piccolo paese della Valdarno, mostrando con chiarezza l’identità tra i pezzi. Un dubbio, comunque, il Museo di Cleveland, sulla Madonna con il bambino, tre cherubini, San Giovanni Gualberto e San Francesco non ce l’ha, visto che lo esporrebbe, come si vedeva nel servizio di Clay LePard, con una provenienza da Ponte Agli Stolli, pur non riportando quella notizia sulla scheda catalografica in rete”.

Come dire che questi americani sono sì amanti dell’arte e ottimi conservatori, ma non temono alcuna dimostrazione di sfacciataggine. Allo stato delle cose, quindi, anche per chiudere in bellezza i suoi quasi otto anni di permanenza al vertice del Ministero della Cultura, sarebbe auspicabile un intervento risolutivo di Franceschini, affinché la Madonna e i Santi di Buglioni torni finalmente a Ponte agli Stolli, dando l’opportunità agli Stati Uniti di dimostrare quanto amano e rispettano l’arte. Anche quella altrui.

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