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Perché non abbiamo mai tempo? Il sociologo Domenico De Masi: “Occorre una severa riabilitazione al lavoro intelligente: poco, efficiente e produttivo”

Che cosa non va nell’organizzazione della nostra giornata, del nostro lavoro e tempo libero? Sono tanti gli interrogativi, resi sempre più attuali dai mutamenti sociali e oggetto di riflessione: ne abbiamo parlato con il professor Domenico De Masi, sociologo e professore di sociologia del lavoro alla Sapienza di Roma, e Guido Stratta, direttore People & Organisation Gruppo Enel, Founder & Ceo Ilmareintasca e Founder & Ceo Accademia della Gentilezza

di Ennio Battista

“Non ho tempo”, “È ormai troppo tardi”, “Ventiquattro ore non bastano!”. Quante volte usiamo queste espressioni sintomo dell’impossibilità di non avere una scelta alternativa per avere più spazi liberi o fare altre cose. È proprio così? Che cosa non va nell’organizzazione della nostra giornata, del nostro lavoro e tempo libero? Sono tanti gli interrogativi, resi sempre più attuali dai mutamenti sociali e oggetto di riflessione, come dimostra il recente libro del giornalista inglese Oliver Burkeman, Come fare per avere più tempo (Vallardi). Tra le sue ricette, cominciare a crearsi una lista di obiettivi utopistici e un’altra più realistica, rivalutando anche la dimensione dell’ozio. “Riflettendo sulla gara frenetica di molti, soprattutto manager, nei confronti del tempo, il mio pensiero è sempre corso a quel famoso quadro di Jacques-Louis David che raffigura Napoleone a cavallo. Si dice che il pittore abbia chiesto a Bonaparte come volesse essere ritratto ed egli abbia risposto: ‘Sereno su un cavallo imbizzarrito’”, ci spiega il professor Domenico De Masi, sociologo e professore di sociologia del lavoro alla Sapienza di Roma, noto anche per i suoi saggi sull’”ozio creativo”. “Ecco, molti professionisti e dirigenti”, continua De Masi, “che corrono all’impazzata tutte le ore del giorno, senza fermarsi un attimo e portando scompiglio ovunque, mi sembrano l’opposto di quel Napoleone: imbizzarriti su cavalli sereni. Le cose fluttuano intorno a loro quasi immutabili, ma essi si agitano come ossessi”. E continuando con le immagini e le metafore, “Il tempo batte lo spazio: se difendi la ‘sedia’ – lo spazio – il tempo te la toglierà”, aggiunge Guido Stratta, direttore People & Organisation Gruppo Enel, Founder & Ceo Ilmareintasca e Founder & Ceo Accademia della Gentilezza, autore insieme a Bianca Straniero Sergio del saggio Ri-evoluzione. Il potere della leadership gentile (Franco Angeli). “La crisi emergenziale che abbiamo affrontato ci ha tolto tanto, ma ci ha ridato il tempo di riflettere, ascoltare e ancor di più sentire”, prosegue Stratta. “Dobbiamo rompere la gabbia opprimente di iperattività e individualismo. Nell’era della transizione energetica è necessaria anche una transizione emotiva, in cui impieghiamo il tempo con cura per assecondare le passioni e le attitudini, per ascoltare le storie degli altri e arricchirci attraverso il confronto dei saperi”.

Una delle difficoltà nella gestione del tempo è quella di non riuscire a individuare le reali priorità, una difficoltà che nasce “nel momento in cui ci si concentra unicamente sul fare”, sottolinea Stratta. “Negli anni le organizzazioni industriali hanno puntato tutto sull’execution. Facendo ciò, hanno però dimenticato il sentire. Ma il ‘fare’ porta a un vero risultato solo se è parte di un processo partecipativo. Un leader oggi è chiamato a costruire senso, gestire emozioni e dare direzione. In questo modo, con le idee e i contributi di tutti la rotta è chiara e condivisa poiché fondata sull’ascolto che abilita il Noi”.

Tante app e ancora poco tempo – Un paradosso con cui spesso ci scontriamo è che oggi abbiamo tra le mani strumenti che dovrebbero ridurre gli sprechi di tempo e guadagnare spazi più liberi per se stessi. Pensiamo alle app che ci permettono di fare numerose operazioni e pagamenti che una volta ci costringevano a lunghe file in banca, alla posta o faticose ricerche per gli acquisti. In più, oggettivamente, abbiamo più ore di tempo libero rispetto ai lavoratori di molti decenni fa. “Noi viviamo quasi il doppio dei nostri trisavoli e, nel corso degli anni, la settimana lavorativa si è ridotta da 60 a meno di 40 ore”, precisa De Masi. “Eppure, molti non hanno mai tempo da dedicare alla riflessione, all’amicizia, al gioco, all’amore, alla bellezza e alla convivialità”. C’è anche un problema culturale alla base di questi problemi, quello dei ruoli in famiglia. “Nei Paesi latini (soprattutto Italia) un numero enorme di manager e di impiegati, che per contratto dovrebbero lavorare 40 ore settimanali, restano in ufficio 10 e più ore al giorno senza farsi pagare lo straordinario”, spiega De Masi. Il motivo? “A mio avviso non consiste in una reale esigenza dovuta a eccessivi carichi di lavoro. La presenza così prolungata in ufficio riguarda soprattutto i maschi che fanno tanto overtime non per amore del lavoro, ma per odio della famiglia. Per un maschio adulto occuparsi dei figli, aiutarli a fare i compiti, interessarsi dei problemi domestici rappresenta una specie di declassamento che lui rifugge delegando queste attività alle donne per dedicarsi anima e corpo a una carriera che, nella maggioranza dei casi, si riduce a un flop”.

Più ore, meno creativi – Il problema che emerge da tutto questo, spiega ancora De Masi, è che restare tante ore in ufficio, sempre nello stesso luogo e a contatto con gli stessi colleghi, provoca “minore creatività, cioè la materia prima di cui la società ha maggiore bisogno”. E così succede che la “gran parte dei lavoratori intellettuali che resta molte ore in azienda non ha idee e, quando ne ha bisogno, le chiede ai consulenti esterni”. Tutto questo porta a un altro effetto indesiderato: restare troppo tempo in azienda, non godendo del proprio tempo libero, “senza rendersene conto, crea disoccupazione perché ci si appropria di lavoro che potrebbe essere affidato ai giovani disoccupati”, sottolinea De Masi. “Attualmente il lavoro è distribuito in modo così assurdo che spesso, nella stessa famiglia, i genitori lavorano in overtime mentre i figli sono disoccupati. Sarebbe molto più logico, giusto e intelligente che il lavoro fosse distribuito in parti uguali tra tutti i lavoratori disponibili”.

Le opportunità del South Working – Un fenomeno recente è quello del “south working”. Molte persone decidono di tornare a casa, lavorare in remoto e sperimentare altri ritmi. Forse proprio in questi cambiamenti possiamo individuare con più ottimismo nuovi modi, più funzionali, di gestione del tempo e della performance professionale? “Il fenomeno del south working – e in generale dello smart working – ci ha dato la splendida opportunità di ripensare non solo la gestione del tempo e la performance professionale, ma anche gli spazi da offrire alle persone, re-immaginati come hubquarters”, commenta Stratta. “Qui si alternano momenti in presenza nei quali coltivare il network relazionale, fare strategia o lanciare un progetto, a momenti in smart working nei quali eliminare il disagio dello spostamento, del waste time, ed essere così prossimi ai propri cari. Le persone dotate di autonomia e responsabilità, assecondando le proprie attitudini sono stimolate, in una gestione flessibile delle attività, a intraprendere piuttosto che a dipendere. Così, le performance e i risultati ne sono potenziati”.

“Purtroppo per alcuni ‘alcolizzati’ dal lavoro non c’è più nulla da fare”, sottolinea con disincanto De Masi. “Per i recuperabili occorre una severa riabilitazione al lavoro intelligente (poco, efficiente e produttivo) e una seria formazione al tempo libero (molto, creativo e procreativo)”. O ancora, rilanciare un nuovo paradigma di benessere fondato sull’equilibrio tra persone e ambiente. Puntare alla “costruzione di un meccanismo virtuoso di cura dello spazio relazionale, basato su ascolto e condivisione, mai sul giudizio, per creare un ambiente di lavoro in cui motivazione e benessere generino produttività e sostenibilità”, aggiunge Stratta. Che sottolinea come la leadership gentile si fondi proprio sulla correlazione fra risultato, benessere e motivazione: “Fattori inscindibili di un armonico sviluppo integrale dell’umanità, una partita a tre campi che dobbiamo giocare con una disposizione d’animo fondata su ascolto, comprensione e fiducia, valorizzando le qualità di tutte le persone coinvolte nella relazione. In una parola, con gentilezza”.

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