Evidentemente a Tiger Woods il “neo-rinascimento” saudita non ha convinto più di tanto. Nonostante un contratto a nove cifre, ovvero da almeno un miliardo, ha rifiutato di prendere parte al circuito di golf lanciato da Mohammed Bin Salman: dopo il calcio, un’altra operazione di “sportwashing” orchestrata a suon di petrodollari dal principe dell’Arabia Saudita, che a ormai quattro anni di distanza dall’omicidio Khashoggi sta tentando ogni strada per pulire la sua reputazione. Non ci sono motivazioni ufficiali per il no da un miliardo di Tiger Woods, ma è certo che il fondo sovrano saudita era pronto a fare di tutto per avere la stella del golf a Londra il 9 giugno (domani) quando prenderà il via la prima tappa del “LIV Golf Invitational Series”, il nuovo circuito sponsorizzato da Riad che punta a sconquassare tradizioni e gerarchie di questo sport, allontanando i giocatori migliori dagli storici eventi PGA Tour e DP World Tour.

Anche l’interesse di Bin Salman per il golf – dopo aver acquistato il Newcastle tramite il fondo Pif – rientra nel piano “Vision 2030”, quello che Matteo Renzi ha lodato solo poche settimane fa durante un dibattito, organizzato sempre a Londra. L’ex premier, ospite de La Confessione di Peter Gomez, ha d’altronde ribadito che il termine “Rinascimento arabo” lo utilizzerebbe anche oggi. Nel suo “Vision 2030”, appunto, Bin Salman attribuisce un ruolo cruciale proprio allo sport, utile a strizzare l’occhio al mondo occidentale, e di conseguenza anche al golf: La Stampa riporta che il fondo sovrano Pif stanzierà tra il 2023 e il 2025 altri due miliardi di dollari per il circuito LIV.

Soldi che però non entreranno nelle tasche di Woods. Il grande rifiuto è stato svelato al Washington Post da Greg Norman, ex campione riciclato nel ruolo di ambasciatore dei sauditi sul green: “Tiger ha rifiutato una somma da nove cifre”, ha dichiarato. Norman in compenso è riuscito a convincere altri pezzi da novanta: Dustin Johnson, Phil Mickelson, Sergio García, per citarne alcuni. A suon di milioni sono stati convinti a mollare Pga e Dp World Tour (rischiano sanzioni e squalifiche) per partecipare a quella di fatto appare come una “Superlega” del golf.

Nel ricostruire la vicenda, La Stampa ricorda una recente dichiarazione di Woods: “Credo nei major, credo nei grandi eventi, credo nei paragoni con la storia e i suoi giocatori”. Insomma, meglio le tradizioni, le vittorie nei Master, piuttosto che i soldi arabi. D’altronde, anche la stella del golf ha bisogno di dare una ritoccata alla sua reputazione. Nessun riferimento, invece, ai diritti umani. D’altronde, negli Usa la questione sta velocemente passando in secondo piano: il presidente Joe Biden ha già dimenticato la promessa di riscoprire l’importanza della salvaguardia dei diritti umani nel mondo e di relegare l’Arabia Saudita a “Stato paria”. C’è l’esigenza di abbassare il prezzo del petrolio: Biden ha in programma in un incontro proprio con Bin Salman, il viaggio è in programma a luglio.

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