In Italia, unico paese Ocse in cui i salari sono oggi più bassi di 30 anni fa, milioni di famiglie vivono lungo il sottile confine che separa una condizione di relativo benessere da quella di conclamata povertà. Una fascia di popolazione spesso doppiamente penalizzata, non abbastanza benestante per attutire senza troppi problemi l’inflazione ma neppure abbastanza povera per ricevere i sussidi previsti per chi è ancora più sfortunato. Basta poco per varcare la soglia e i recenti aumenti dei prezzi, soprattutto di spese obbligate come le bollette e i trasporti, rischiano di dare una spinta decisiva. La povertà è un fenomeno difficile da monitorare, non fosse altro per gli introiti non dichiarati, ma per avere un quadro almeno approssimativo della situazione bastano poche cifre. Lo stipendio medio in Italia è di circa 1.700 euro netti al mese (tredicesime incluse). Ci sono però ben 11 milioni di persone che guadagnano meno di 20mila euro lordi l’anno che significa trovare in busta paga circa 1.300 euro al mese. Altri 6,6 milioni di contribuenti hanno redditi tra i 20mila e i 25mila euro lordi l’anno, ossia circa 1500 euro netti al mese, questa forse la fascia di popolazione a maggior rischio di “smottamento”. Se si guarda alle soglie di povertà elaborate dall’Istat si scopre che una famiglia con un figlio a carico viene ritenuta povera se dispone di un reddito mensile al di sotto dei 1.400 euro. Una cifra che cambia poi in base alle diverse aree del paese.

Una famiglia con due figli che risiede in una grande città del Nord risulta povera con guadagni al di sotto dei 1.680 euro al mese. In un piccolo paese del Sud si scende fino a 1.299 euro. Va da se che se a lavorare è uno solo dei genitori sono tante le famiglie sul limite. Secondo una prima stima di Confcommercio tra bollette di luce e gas e prezzi di carburanti o trasporti che servono per andare a lavorare o a scuola una famiglia è destinata a spendere quest’anno fino a 1.800 euro in più di un anno fa. Stiamo parlando di 150 euro in più al mese che, come si capisce, significano tanto per un reddito medio basso. “Quello del caro energia è un tema che dal nostro osservatorio ha iniziato a manifestarsi alla fine del 2021 e che naturalmente perdura andando a innestarsi su condizioni di disagio che nascono anche da altri fattori”, spiega a Ilfattoquotidiano.it la Caritas Ambrosiana che segnala anche un incremento del numero di persone che si reca nei suoi empori.

Oltre ad aver temporaneamente ridotto di una trentina di centesimi le tasse su benzina e gasolio, il governo ha introdotto un meccanismo di calmieramento delle bollette e varato misure più corpose per le famiglie più in difficoltà con un reddito Isee entro i 12mila euro (si sale a 20mila con 4 figli). Le fasce economicamente più deboli hanno beneficiato di interventi più consistenti azzerando quasi le ricadute dei rincari. Tuttavia il risultato complessivo, scrive l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente, è che la spesa per la bolletta elettrica della famiglia-tipo nei 12 mesi che vanno da luglio 2021 e a fine giugno 2022 sarò di circa 948 euro, ossia l’83% in più (circa 500 euro) rispetto all’anno prima mentre quella per la fornitura del gas ammonta a circa 1.652 euro, con un incremento del 71%. Qualche beneficio arriverà dal bonus una tantum da 200 euro (per i redditi solo i 35mila euro lordi l’anno) ma non sufficiente per compensare l’incremento delle tariffe energetiche. Misure che, in teoria, dovrebbero essere finanziate dalle tasse sugli extra profitti delle compagnie energetiche che, grazie ai rincari, stanno inanellando trimestrali di bilancio con profitti record.

Per questo Mariano Bella, direttore del centro studi di Confcommercio, afferma: “In questa fase la mia grande preoccupazione riguarda soprattutto il ceto medio basso che non è stato pienamente tutelato dai recenti rincari”. E probabilmente non lo sarà neanche in futuro, ragiona Fedele De Novellis economista del centro ricerche Ref. “Durante la pandemia i governi hanno speso enormi quantità di denaro per limitare l’impatto del virus sull’economia ma potevano contare sul supporto delle banche centrali. Ora non è più così visto che le autorità monetarie, proprio per fronteggiare l’inflazione, stanno riducendo gli acquisti di titoli di Stato e alzando il costo del denaro. Indebitarsi diventa quindi molto più oneroso”, ragiona De Novellis. L’economista rimarca poi le differenze rispetto allo choc petrolifero degli anni 70. “Allora i salari crescevano, circa il 3 – 4% l’anno grazie agli aumenti di produttività. Il forte aumento dei prezzi energetici erose questi aumenti ma non si tradusse in una perdita di potere d’acquisto. Ora è diverso, la botta dei prezzi cade su salari che erano fermi, alla fine di quest’anno i lavoratori avranno perso fino al 5% del valore reale delle loro buste paga”.

Per quanto riguarda nello specifico il caro bollette De Novellis ne sottolinea l’ impatto asimmetrico ossia il fatto che, in proporzione, colpisce molto di più i redditi bassi. Il risultato finale sarà che nei prossimi mesi assisteremo a due fenomeni di segno opposto. Da un lato ci sar una ripresa per i consumi tradizionalmente appannaggio di redditi più elevati, come alberghi, ristoranti, viaggi etc, anche perché i mesi di lockdown hanno permesso di accumulare un po’ di risparmi di cui ora si può disporre. Per contro registreremo una penalizzazione dei consumi più in generale. “Abbigliamento e calzature” sono le prime categorie a risentire dell’assottigliamento delle buste paga spiega Mariano Bella che aggiunge “Attenzione perché è indubbio che molti consumi saliranno rispetto ai valori pre-pandemia ma lo faranno molto meno di quello che avrebbero potuto se non ci fosse stata anche questa zavorra e in molti casi resteranno al di sotto dei valori pre pandemia”.

Il fenomeno non è solo italiano. Un paese che sta sperimentando una situazione particolarmente complessa è la Gran Bretagna dove l’inflazione è addirittura al 9% e si segnalano testimonianze di famiglie che iniziano a risparmiare sul gas per cucinare quando non direttamente sui pasti per far fronte alle tariffe impazzite. All’aumento del costo della vita, che qui è favorito anche dai contraccolpi della Brexit, è riconducibile anche la diminuzione degli abbonamenti alle piattaforme come Netflix, testimoniato da una ricerca diffusa poche settimane fa.

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