Chi segue la mia pagina Facebook probabilmente sa che a gennaio ho tentato il suicidio e che ora sono in cura per depressione, agorafobia e disturbi alimentari. Oltre alle cure farmaceutiche mi è stato suggerito di usare lo strumento che uso da sempre come elemento salvavita, la scrittura, che secondo lo psicologo mi ha permesso in tanti anni di non lasciare che il mio cervello si frammentasse. Senza la scrittura il tuo cervello sarebbe rotto, mi hanno detto, invece lo hai tenuto intero e hai conservato lucidità.

L’altra cosa che mi ha permesso di conservare lucidità è il femminismo, perché se non avessi analizzato la mia malattia da un punto di vista di genere, giacché molto dipendeva dalle forti pressioni sociali per ruoli imposti alle donne che inducono senso di colpa nel caso in cui quei ruoli non vengano interpretati in ogni senso, non avrei capito che la mia depressione ha una origine post traumatica e che la questione di genere c’entra per me e per tante donne che come me risentono dello stesso problema.

Vi lascio qui un capitolo del mio ultimo libro che parla di femminismo e salute mentale, e tratta proprio di malattie mentali da un punto di vista di genere, nella speranza che questo possa essere di aiuto a tante, oppresse dallo stigma e dalla vergogna che gravano su questo genere di disturbi, e che il terreno della salute mentale si evolva raccogliendo suggerimenti che mi umilmente mi accingo a offrire. Buona lettura!

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Malattia mentale e prevenzione ed educazione al rispetto dei generi

Se parliamo di malattie mentali che colpiscono maggiormente le donne (il 90% delle persone depresse è donna), come la depressione, i disturbi alimentari, l’agorafobia, dopo averle osservate e analizzate da un punto di vista di genere possiamo immaginare delle forme di prevenzione. Per prevenire i disturbi alimentari bisogna combattere il sessismo, il body shaming, i modelli estetici imposti. Voler essere magre non è sempre la dimostrazione che quella donna sia affetta da una malattia, ma se si raggiungono stadi in cui si ritiene di poter avere il controllo su se stesse soltanto digiunando o stadi in cui si perde il controllo su tutto abbuffandosi e poi vomitando, siamo di fronte a un disturbo che si potrebbe prevenire se solo le pressioni sull’estetica femminile non fossero così enormi. Voler essere belle non è qualcosa di malvagio, non riuscire a vedere la propria bellezza perché non si somiglia ai modelli estetici imposti diventa invece patologico. Dobbiamo spiegare con attenzione che quei modelli non rappresentano la realtà delle tante donne esistenti al mondo, con corpi di ogni peso e misura e colore, con aspetti differenti l’una dall’altra. Dobbiamo spiegare che la diversità è un valore e se impediamo a quelle pressioni sessiste di insistere nel far sentire inadeguate le donne nei propri corpi potremmo prevenire patologie invalidanti che hanno certamente una derivazione anche culturale.

I disturbi alimentari si accompagnano spesso all’isolamento e dunque all’agorafobia. Per aiutare le donne che non riescono a percorrere chilometri tra la folla pensando di essere osservate e giudicate da chiunque dovremmo innanzitutto iniziare a considerare questo fatto negli spazi condivisi e femministi. Se una donna con disturbi alimentari e agorafobica riesce a raccontarsi tramite una mail, ciò vuol dire che non vuol restare da sola, ma che teme di esporre il proprio corpo immaginando di non essere accettata e quindi amata dalle persone che potrebbe incontrare altrove. Questa faccenda ci riguarda tutte nella misura in cui dovremmo prepararci e per esempio realizzare iniziative in cui le donne affette da disturbi alimentari e agorafobia possano sentirsi al sicuro. Non vale il fatto che si teme solo il giudizio maschilista, perché sappiamo bene che il giudizio estetico deriva anche da altre donne che tendono a sminuire i corpi delle altre, le loro differenze, per stare meglio probabilmente con se stesse. Non ci dovrà dunque essere nessun giudizio o nessuna osservazione sul peso del corpo di una donna, sul suo aspetto, sul modo in cui desidera esporsi, coperta o scoperta che sia, non si dovrà mai applicare uno stigma a nessuna donna.

Per prevenire dobbiamo considerare anche l’idea di inserire nei corsi di educazione al rispetto dei generi tutto ciò che riguarda i modelli estetici imposti e le pressioni che pesano sui corpi delle donne. Bisognerà insegnare alle bambine che sono belle così, senza cambiare nulla, senza dover faticare mille ore in palestra per perdere peso per adeguarsi ai modelli estetici dominanti.

Prevenire la depressione è un fatto più complesso perché dipende dalla enorme mole di pressioni sociali che le donne subiscono ogniqualvolta vengono colpevolizzate o obbligate ad assumere i ruoli imposti. Non ce l’ha prescritto il medico che dobbiamo sentirci felici di essere mogli, madri, badanti. Nessuno ci obbliga a sentirci felici mentre svolgiamo ruoli di cura. L’imposizione culturale che ci spinge alla schiavitù riproduttiva e ai ruoli di cura è responsabile in gran parte della depressione di molte donne. Combattere questa imposizione significa fare prevenzione e impedire che tante donne periscano suicide perché si sentono in colpa per non essere state in grado di interpretare i ruoli imposti. Quando si faranno corsi di educazione al rispetto dei generi si dovrà precisare che le donne non dovranno fare niente che non sono libere di scegliere. Non dovranno necessariamente sposarsi, diventare madri, prendersi cura della famiglia, se non lo vogliono. Serve dire che non dovranno sentirsi mai inadeguate se sceglieranno di fare qualcos’altro. Bisogna combattere la colpevolizzazione che opprime le donne che non vogliono sposarsi, fare figli, prendersi cura della famiglia.

Il nostro governo ha cancellato il ministero alle Pari opportunità, per quanto fosse utile solo sulla carta, ritenendo che la parità sia stata già raggiunta, mentre continua a spingere le donne in casa a svolgere i ruoli di cura, tenendole lontane dei luoghi di lavoro retribuiti. Se tra tutte le persone depresse il 90% è donna il governo dovrà chiedersi perché svolge politiche che istigano il loro suicidio. Se non si realizzano strutture per aiutare le donne nei ruoli di cura, se non si liberano le donne dall’imposizione a raggiungere uno status sociale solo se mogli e madri, se non si realizzano delle strutture che potremmo chiamare di co-housing per donne che non hanno famiglia e si trovano in situazioni di difficoltà, senza lavoro né pensione, allora il governo sarà chiamato a rispondere di istigazione al suicidio di moltissime donne depresse. Il suicidio non è conseguenza di una malattia, ma è la malattia che è conseguenza delle forti pressioni che le donne subiscono. Se si continua a chiedere alle donne di custodire gelosamente la rabbia, senza mostrarla, frustrate per il fatto di dover adempiere a doveri che non hanno scelto, quel che si fa è spingerle verso la morte.

Gli approcci della psichiatria a questo genere di patologie sono dedicate a curare i sintomi ma non le cause. I farmaci stabilizzano l’umore ma di certo non ti rendono una persona felice se non lo sei. I farmaci ti aiutano a dormire ma di certo non risolvono i problemi che ti tenevano sveglia e insonne per decine di notti. La stessa psicologia approccia queste patologie secondo varie teorie di pensiero. Qualcuno pensa che bisogna correggere il pensiero distorto affinché tu torni ad un pensiero ottimista. Qualcuno ritiene che devi esplorare e analizzare fino in fondo i tuoi traumi che sarebbero causa della tua malattia. In ogni caso non risolvono problemi concreti che tante donne depresse pongono: ovvero la questione del reddito, per la propria esistenza e non perché garantiscano un margine di produttività utile al capitalismo, e la questione della casa che è un bene primario del quale tutti dovrebbero avere diritto. Se reddito e casa sono vincolati al teorema della felice realizzazione della famiglia eterosessuale, a queste donne si dirà semplicemente che dovranno dipendere da un uomo per poter ottenerle.

Non hanno altra scelta se non questa. Quando queste donne hanno fortuna trovano un uomo perbene che non le picchia e non le manipola. Se però va male trovano un uomo violento dal quale è difficile perfino separarsi per tentare di costruire una qualche forma di autonomia. Ovvero ti dicono che se denunci l’uomo violento a quel punto rientri in un quadro di insieme di servizi approntati per l’assistenza della donna che esce da una situazione di violenza che prevede per te la possibilità di trovare un tetto e anche un reinserimento socio lavorativo. E’ come se si dicesse alle donne che devono in ogni caso passare attraverso l’inferno per poter ottenere un margine di autonomia. Diversamente nessuno te la concederà. Quindi è necessario esigere un reddito di esistenza e abitazioni per donne sole che non hanno famiglia o figli. Perché la loro vita ha valore. Se si realizzassero politiche economiche che incoraggiassero l’autonomia delle donne probabilmente si potrebbe prevenire la depressione per molte di loro. Ecco perché la questione delle malattie mentali deve essere rivista mettendola in correlazione alla questione di genere.

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Se hai bisogno di aiuto o conosci qualcuno che potrebbe averne bisogno, ricordati che esiste Telefono amico Italia (0223272327), un servizio di ascolto attivo ogni giorno dalle 10 alle 24 da contattare in caso di solitudine, angoscia, tristezza, sconforto e rabbia. Per ricevere aiuto si può chiamare anche il 112, numero unico di emergenza. O contattare i volontari della onlus Samaritans allo 0677208977 (operativi tutti i giorni dalle ore 13 alle 22).

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