Più di 50 anni fa Ugo La Malfa proponeva al Parlamento italiano di vincolare una fascia di rispetto di 200 metri ai nuovi tracciati autostradali. Non chiedeva la luna, ma suggeriva un pioneristico adeguamento allo standard che possiamo apprezzare oggi in molti paesi, europei e non, dove questi tracciati si sviluppano tra boschi, prati, campi coltivati. La proposta del leader dell’allora Partito Repubblicano – all’epoca, il più piccolo tra quelli di governo – cadde subito nell’oblio. Tutti erano convinti che il libero mercato o il semplice buon senso avrebbero sconsigliato di colonizzare il bordo autostradale.

Non è andata così. In molte zone del paese – per esempio, quasi dappertutto in Liguria – il disprezzo per qualunque ratio urbanistica e residenziale ha consentito di edificare in perfetta aderenza alle autostrade, perfino sotto i viadotti o a picco sopra le gallerie. Né il mercato immobiliare ha svolto un ruolo di indirizzo o, perlomeno, suggerito qualche saggio “consiglio per gli acquisti”. Di qui la necessità di ridurre l’impatto acustico con barriere, quasi sempre artificiali per le ovvie ragioni di mancato rispetto di ragionevoli distanze.

Perché, allora, non costruire queste barriere acustiche utilizzando pannelli fotovoltaici?

Sotto ipotesi cautelative, uno studio statunitense di qualche anno fa ha dimostrato l’enorme potenziale di questa soluzione, se adottata a scala nazionale sull’intera rete autostradale. Utilizzando solo le barriere antirumore esistenti, gli Usa potrebbero installare da 7 a 9 Gigawatt (Wadhawan & Pearce, Power and energy potential of mass-scale photovoltaic noise barrier deployment: A case study for the U.S., Renewable and Sustainable Energy Reviews, 80. 125-132, 2017). E ogni anno gli Usa potrebbero produrre più di 800 Gigawattora. Non sono noccioline: si tratta di una potenza pari a poco meno dell’uno per cento dell’intero arsenale elettrico degli Usa, con una capacità produttiva dell’ordine del 2 per diecimila di quanto viene consumato nel paese.

Se le barriere acustiche fotovoltaiche fossero poi realizzate usando moduli bifacciali, la resa del sistema potrebbe migliorare sensibilmente. Anche l’irradiamento incidente sul retro può essere convertito in elettricità: perfino una barriera esposta a nord assicura una resa annua dal 70 al 90 percento del massimo rendimento. Inoltre, la resa può aumentare in modo sorprendente dove sia possibile curare l’orientamento, evitando angoli e zone d’ombra piena.

In Italia, i tentativi non sono mancati. Per esempio, l’Autostrada del Brennero ha installato questo tipo di barriere a Marano in Trentino (vedi Figura 1). E una coroncina di pannelli abbellisce l’imbocco dello svincolo portuale di La Spezia (vedi Figura 2). Ma sono stati tentativi troppo timidi, finora.

Diversi scenari possono promuovere e favorire una larga e rapida diffusione di questo sistema in Italia. Le opzioni vanno dalla costruzione diretta con risorse proprie o finanziamenti mirati all’affidamento in concessione, a seconda della situazione locale. Soprattutto nell’Italia meridionale, dove il solare ha la maggiore potenzialità, una larga diffusione di questi impianti potrebbe avere senso, visto il costo marginale giacché le barriere acustiche vanno comunque installate. A livello sperimentale, inoltre, l’accoppiamento del solare termico al fotovoltaico potrebbe perfino aumentare la resa energetica.

Primo beneficiario potrebbe diventare lo stesso sistema stradale. Per esempio, deumidificare il ventre del venerato ponte di San Giorgio a Genova, così come quello di altre strutture simili, richiede una bella quantità di energia. L’energia autoprodotta potrebbe anche contribuire all’alimentazione delle stazioni di ricarica di veicoli a trazione elettrica o ibrida plug-in. Meglio ancora, poi, se l’energia a buon mercato aiutasse a migliorare i sistemi controllo del traffico e di guida assistita, magari per limitare ovunque la velocità, uno dei fattori di maggiore spreco energetico e disturbo acustico.

Le autostrade sono un archetipo della società, come scriveva Charles Bukowski: “L’autostrada ti ricorda sempre un po’ com’è la gente. È una società competitiva. Vogliono che tu perda così possono vincere loro. Una faccenda innata che in autostrada viene fuori. Quelli che vanno piano vogliono bloccarti, quelli che vanno forte vogliono superarti”. Ridurre la velocità autostradale, assieme al peso dei veicoli, avrebbe indubbi benefici non solo energetici ma anche acustici. Produrre energia rinnovabile in loco non sarebbe uno spreco di risorse. E il tampone idraulico, se diffuso e ben distribuito, aumenterebbe la stabilità del sistema.

Articolo Precedente

RePowerEu, il pacchetto per staccarsi dal gas russo rischia di annacquare le linee guida sulla transizione green e creare nuove dipendenze

next
Articolo Successivo

“Gli inceneritori paghino quote di emissione”. La proposta Ue (votata anche da un pezzo di Pd) che può complicare i piani di Gualtieri

next