“Mi sono rovinato per una firma”. Quante volte ho ascoltato questa frase da parte di soggetti che avevano rilasciato a favore di una banca una garanzia personale (fideiussione) per i finanziamenti che l’Istituto di credito aveva concesso all’impresa di un loro parente o affine.

Se l’impresa non meritava quel finanziamento e la banca lo ha ugualmente concesso, il garante non può perdere la propria casa se poi l’azienda non riesce a rimborsare il prestito. Molti, la maggior parte, non sanno infatti che un giudice, in qualche tribunale, potrebbe ritenere nulla quella garanzia e liberare il fideiussore da tutte le sue obbligazioni indirette. Nel nostro paese, soprattutto al Sud, ancora oggi l’erogazione del credito da parte del sistema bancario nei confronti delle piccole imprese si basa prevalentemente sul valore delle garanzie rilasciate da terzi fideiussori piuttosto che sulla capacità di rimborso del debitore principale, cioè l’impresa. Un ragionamento che, utilizzando una buona dose di flessibilità intellettiva, potrebbe avere una logica di opportunità legata ai contesti temporali e territoriali: la banca concede un fido a una azienda anche se è consapevole che il suo bilancio, per motivi “fiscali”, non esprime tutta la potenzialità (che comunque possiede anche se occulta), se viene garantita con i beni personali del singolo socio dell’impresa o di un suo parente.

Ma se quella impresa, già dal momento della prima concessione, non ha una potenzialità economica e patrimoniale, quella garanzia potrebbe essere considerata nulla da un magistrato. Quel giudice si è basato sull’ordinanza n. 54 del 7 gennaio 2021 con cui la Corte Costituzionale ha affrontato il tema della liberazione del fideiussore per una obbligazione futura di cui all’art. 1956 cod. civ. Una norma che, anche a seguito della summenzionata pronuncia, chiarifica e orienta il ragionamento logico giuridico in merito agli effetti della condotta di concessione abusiva del credito ritualmente compiuta dagli istituti bancari.

In altri termini: la banca concede per la prima volta, o continua a concedere, incautamente credito in favore dell’imprenditore che versa in stato di insolvenza o comunque di crisi conclamata. In particolare, l’art 1956 cod. civ. dispone che se il creditore (la banca), in assenza di una inequivoca autorizzazione del fideiussore, ha concesso un finanziamento al terzo (impresa), pur sapendo che le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito, il fideiussore è liberato dalla propria obbligazione. Quindi la concessione abusiva del credito tradisce proprio il comportamento vizioso dell’istituto bancario che continua a prestare soldi e a mantenere in vita artificialmente l’impresa della quale però è mutata la solvibilità anche nell’ipotesi in cui sia a conoscenza del peggioramento e/o della conclamata crisi della situazione finanziaria del garantito, debitore principale. Anzi, siccome quelle condizioni di deterioramento devono essere conosciute dall’Istituto di Credito che deve operare secondo la cosiddetta diligenza del bonus argentarius, ossia una diligenza tecnico professionale (un maggior grado di prudenza a cui la banca, nell’esercizio della sua attività, deve conformarsi per evitare il verificarsi di eventi pregiudizievoli prevedibili), in tal modo i “giudici delle leggi” pongono un freno alla condotta delle banche che senza scrupoli finanziano solo perché confidano nella garanzia dei fideiussori e nella loro personale solvibilità.

Indipendentemente dal fatto che la concessione abusiva del credito, secondo consolidata giurisprudenza, sia lesiva anche per l’impresa finanziata (che aggrava la propria situazione di crisi e/o dissesto) e per gli altri suoi creditori (che si lascia ingannare perché crede nel merito di quest’ultima se una importante banca continua a finanziarla), dimostrare tale condotta illecita, sicuramente plurioffensiva (i penalisti storceranno un po’ il naso), è determinante per dichiarare la nullità delle fideiussioni ed eventualmente bloccare anche le eventuali azioni esecutive (pignoramenti, vendita coattiva, ecc).

Posso dirlo, ho il copyright: Io so e ho le prove (professionali).

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