E’ durato poco l’entusiasmo dei mercati per le dichiarazioni della Federal Reserve che ieri, dopo aver alzato i tassi dello 0,5%, ha escluso che il prossimo rialzo, atteso per giugno, possa essere dello 0,75% come prospettato da alcuni analisti. Ieri a Wall Street l’indice S&P 500 aveva chiuso a + 3% ma i guadagni sono stati cancellati dalla seduta odierna, in deciso rosso sia negli Stati Uniti che in Europa. L’indice Eurostoxx 600 è arretrato dello 0,8%, piazza Affari ha chiuso in calo del 0,6% dopo una prima metà di seduta in rialzo. Il rendimento dei Btp decennali ha superato il 3%. Il rialzo deciso ieri dalla banca centrale statunitense ha portato il costo del denaro all’1%. Si tratta inoltre del rialzo più consistente degli ultimi 22 anni. Contestualmente la Fed ha annunciato una nuova riduzione del volume degli acquisti di titoli. Oggi si è mossa anche la Banca d’Inghilterra ha deciso un nuovo rialzo dei tassi di interesse portandoli dallo 0,75% all’1%. La decisione era attesa e viene spiegata dall’istituto centrale britannico come misura per contrastare la crescita record dell’inflazione nel Regno Unito. La banca centrale avverte che quest’anno l’inflazione inglese potrebbe raggiungere il 10%.

L’incremento dei tassi era atteso da analisti e mercati ed è un ulteriore passo nella strategia di stretta monetaria adottata dalla Fed per contrastare l’inflazione salita negli Usa fino all’ 8,5%. Lo scorso marzo i tassi erano stati aumentati dello 0,25%. Alzare i tassi è un modo per rendere il denaro più costoso. Farsi fare un prestito diventa più caro e il denaro in circolazione diminuisce mentre la quantità di beni sul mercato no. Questo produce una spinta al ribasso sui prezzi al consumo ma ha l’effetto collaterale di rallentare la crescita economica. Nel primo trimestre del 2022 il prodotto interno lordo Usa ha subito una contrazione dell’1,4%, arretramento inatteso che potrebbe indurre la Fed ad ammorbidire le sue mosse.

“Voglio parlare direttamente agli americani: l’inflazione è troppo alta ed è essenziale abbassarla” per garantire una ripresa che porti benefici a tutti, ha detto ieri il presidente della Fed Jerome Powell, nella sua prima conferenza stampa in presenza quasi due anni. La Fed “ha gli strumenti per ridurre l’inflazione e si sta muovendo rapidamente per abbassarla”. Altri rialzi da mezzo punto percentuale sono “sul tavolo” per le prossime riunioni, ha affermato, ma la banca centrale “non considera attivamente” un possibile rialzo dei tassi da 75 punti base in giugno. L’economia americana sta facendo bene: “ci aspettiamo una crescita solida quest’anno” e nulla suggerisce che “siamo vicini o vulnerabili a una recessione”, ha sottolineato Powell, spiegando che ci sono buone chance di ripristinare la stabilità dei prezzi senza una recessione. In ogni caso, ha ammesso, gli strumenti a disposizione della Fed non sono strumenti di precisione.

Deficit commerciale Usa sopra i 100 miliardi – La politica restrittiva della Fed è anche alla base della corsa del dollaro delle ultime settimane e del rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato americani. Un decennale paga circa il 3%. Ieri è stato diffuso il dato sul deficit commerciale americano (differenza tra valore delle esportazioni e delle importazioni) che in marzo è aumentato del 22,3% a 109,8 miliardi di dollari, il rosso maggiore di sempre e per la prima volta sopra i 100 miliardi. Un dato peggiore delle attese degli analisti. Le importazioni sono salite del 10,3% a 351,52 miliardi, mentre le esportazioni sono aumentate del 5,6% a 241,7 miliardi.

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