L’inflazione in Turchia ha raggiunto in aprile il 70%, spinta al rialzo dai prezzi dell’energia e dei beni alimentari. Rispetto al mese precedente i prezzi sono saliti del 7,2%. Da mesi il paese è alle prese con il fenomeno di un carovita galoppante, favorito dalla debolezza della valuta locale. Un anno fa per un dollaro servivano 8 lire turche, oggi più di 14. Una moneta nazionale debole fa si che tutto quanto viene importato dall’estero costi di più e questo si ripercuote sui prezzi in generale. Più nel dettaglio i prezzi dei trasporti sono più che raddoppiati (+ 106%) mentre quelli dei prodotti alimentari sono saliti dell’89% rispetto all’aprile 2021.

I prezzi industriali sono saliti del 122%, segnale che lascia presagire ulteriore ricadute nei mesi a venire sui prezzi al consumo. Solitamente in queste condizioni la contromossa delle banche centrali è quello di alzare il costo del denaro diminuendone la quantità in circolazione ed esercitando un’azione di contenimento sui prezzi. Ma il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan è fortemente contrario a questa politica monetaria ortodossa (che ha l’effetto collaterale di rallentare la crescita economica) e la banca centrale non gode di un’indipendenza paragonabile a quella di altri istituti centrali. Erdogan ha licenziato tre governatori per non aver seguito la sua linea, La banca centrale ritiene che l’inflazione inizierà in ogni caso a rallentare dal prossimi giugno e ha lasciato intendere che non ha intenzione di alzare i tassi. Il governatore Sahap Kavcioglu ha affermato che la Turchia non ha bisogno di aumentare i tassi solo perché altre banche centrali, inclusa la Federal Reserve statunitense, lo stanno facendo. Il tasso praticato dalla banca centrale è del 14%, tenendo conto dell’inflazione si tratta del tasso reale più basso del mondo.

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