Il Lovers Film Festival di Torino, la rassegna cinematografica Lgbt che ormai compie 37 anni, ha visto quest’anno un bel ritorno di pubblico e un nuovo caleidoscopio di immagini e di storie, dal presente e dal passato e da varie parti del mondo. Persino da quelle al centro dell’attenzione per la guerra, anche se non c’era l’intenzione o la possibilità di farne un tema.

La direttrice Vladimir Luxuria non si è fatta scappare l’occasione di avere una ospite non cinematografica ma significativa come Zi Famelu, icona della musica leggera ucraina, cantante e trans. Zi Famelu ha testimoniato sulla storia particolare ma emblematica delle trans a cui non è consentito espatriare – come invece le donne dall’Ucraina possono espatriare – perché all’anagrafe sono ancora maschi e quindi soggetti all’obbligo di rimanere in patria a disposizione per combattere. Con molta sincerità ha raccontato della sua fuga avventurosa, a nuoto attraverso un fiume, e della sua intenzione di non imbracciare armi pur sostenendo la resistenza contro l’invasione. Zi Famelu ora è rifugiata in Germania.

Nell’ambito del Festival c’è stata anche una piccola rassegna dedicata a corti su paesi e tematiche di omofobia. La rassegna è stata presieduta da Luca Poma e dal diplomatico Fabrizio Petri, incaricato speciale dal Ministero degli Esteri per i diritti Lgbt nel mondo. Ebbene c’era anche un corto di animazione proveniente dalla Russia, forse una rarità di questi tempi in un festival. Ma mentre la ungherese e il tunisino autori degli altri corti erano presenti, l’autrice russa del simpaticissimo Shall we talk?, la 23enne Katya Mikheeva, era assente. Gli organizzatori hanno detto di aver perso i contatti con lei dopo l’inizio della guerra. Facendo un po’ di ricerche ho verificato che la ragazza sta più che bene e si trova in una residenza artistica in Francia ma non vuole essere intervistata. Mi sono immaginato che glielo abbiano consigliato la famiglia o l’ambasciata.

Venendo invece ai film veri e propri del Festival chissà cosa avrebbe detto Pasolini di essere incluso nelle retrospettive accanto a Pink Narcissus. Tra i film nuovi in concorso se la sono giocata un canadese e un messicano. Finlandia è un docufilm sulla realtà della comunità Muxhes di transgender nel Sud del Messico.

Il film vincitore, il canadese WildHood, è contemporaneamente un road movie e coming of age, come si dice in gergo, ed è un film che si prevede arriverà nelle sale. Ambientato in Nuova Scozia, narra di un ragazzo alla ricerca della propria madre e della propria identità che si incontra con un altro ragazzo, già più consapevole del proprio orientamento. Il bello è che quest’ultimo è un nativo americano Mi kmaw, forte e agile come un guerriero ma capace di ballare vestito con le piume colorate. La giuria ha premiato il film, oltre che per le immagini e la fotografia, “per aver raccontato una storia di riscatto e di accettazione della propria sessualità e delle proprie radici culturali”. (Conciliare sessualità e radici culturali alle volte è un problema, anche se in questo caso la bellezza dei due giovani protagonisti li aiuta).

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