Tra Mediobanca e le famiglie di imprenditori italiani capitanate da Francesco Gaetano Caltagirone, i soci stranieri delle Generali seguono Mediobanca. In un’affollatissima assemblea che ha visto rappresentato oltre il 70% del capitale per il contesissimo rinnovo del consiglio di amministrazione della compagnia che detiene oltre 60 miliardi di titoli di Stato italiani, i grandi fondi d’investimento internazionali hanno fatto da ago della bilancia scegliendo di fatto loro il nuovo board. Quello proposto dal cda uscente con il sostegno di Mediobanca, che prevede il terzo mandato per l’amministratore delegato francese Philippe Donnet e l’incarico di presidente all’ex rettore della Bocconi, Andrea Sironi.

Con uno scarto di una decina di punti, troppi per contestare i diritti di voto affittati da Mediobanca, il fronte avversario di Caltagirone sostenuto da Leonardo Del Vecchio, i Benetton, un manipolo di famiglie di imprenditori e fondazioni bancarie con Crt in testa e gli avvocati della Cassa Forense, si deve accontentare di tre posti che andranno a Caltagirone, Marina Brogi e Flavio Cattaneo.

E ora? È chiaro che il consiglio di amministrazione del più importante agglomerato finanziario del Paese non nasce nel migliore dei modi, con in seno una minoranza agguerrita. Visto lo scarto superiore al 6% dei voti di Mediobanca e soci a rischio di contestazione, tuttavia, i margini per un’opposizione al risultato in sede giudiziaria sono risicati, ma gli esposti volati in questi mesi sono tanti e Caltagirone non è certo il tipo da mollare l’osso, specialmente dopo la spesa affrontata per arrivare fin qui.

“Sono convinto che Generali possa essere migliore e possa crescere molto. Per questo il mio gruppo ha presentato una lista che ha avuto il 42% dei voti, tutti gli italiani sono con noi senza eccezioni e sono tutti soci stabili. Soci che vogliono che Generali rimanga una società radicata in Italia e legata all’Italia”, ha fatto sapere in serata il costruttore-editore romano, sottolineando che “chi è socio stabile vuole che insieme al grano che si semina ad ottobre e si raccoglie a giugno, si pianti l’albero che darà frutto negli anni”. Caltagirone quindi promette che “fin quando lo riterrò ragionevole, continuerò a operare perché il cambiamento avvenga”, ragionando sul fatto che “un consiglio di amministrazione eletto dal 55% dei voti non potrà non tenere conto dell’altro 45%”.

D’altro canto il conflitto è sedato, non certo sanato e il cuore delle contestazioni del costruttore romano, Banca Generali, ha delle delicate questioni in sospeso. Come quella dei cosiddetti “mafia bond”, come li ha ribattezzati il Financial Times, gli investimenti in crediti sanitari che sono al centro di una riservatissima inchiesta della Procura di Milano e sono già costati alla banca del Leone 80 milioni di accantonamenti. L’operazione era stata fatta con il gruppo lussemburghese Cfe Advisory, lo stesso che è all’origine di un altro investimento di Banca Generali, questa volta legato ai mercati sudanese e cubano, che sta portando all’istituto nuove perdite potenziali, come rilevava Mf in edicola il 29 aprile. D’altro canto Generali ha assicurato nei giorni scorsi che la banca “è un asset importante per il gruppo grazie alle sue ottime performance, e il piano strategico Lifetime Partner 24: Driving Growth prevede lo sviluppo organico della banca stessa come parte del gruppo Generali”.

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