L’invasione dell’Ucraina ha reciso molti dei legami accademici e scientifici tra la Russia e l’Occidente che si erano consolidati negli ultimi trent’anni. E gli effetti saranno profondi, non solo a breve, ma anche a lungo termine. L’impatto potrebbe estendersi ben oltre la Russia e le repubbliche russofone della fu Unione Sovietica. Si completerebbe così la ritirata mondiale dalla globalizzazione innescata dalla Brexit, proseguita dall’amministrazione Trump, accelerata infine dalla pandemia.

A breve, l’istruzione superiore e la ricerca saranno giocoforza coinvolte dall’arroccamento globale, poiché la nuova guerra mondiale – fredda, almeno così si spera – porrà gli alleati occidentali di fronte a un nutrito blocco geografico, guidato da Cina e Russia, in cui entrambe le parti anteporranno la sovranità economica alla interdipendenza reciproca.

In campo tecnologico, la marcia indietro verso l’autosufficienza nella produzione di componenti elettronici è già partita, assieme al ripudio occidentale delle reti 5G cinesi. I chitarristi piangono già la carenza di valvole, componenti essenziali degli effetti che fecero la fortuna di Jimi Hendrix e Frank Zappa: in occidente non le fabbrica più nessuno! E, dopo aver scoraggiato l’importazione di apparati cinesi di telecomunicazione, gli Usa stanno impedendo ai super-computer cinesi di sfruttare le tecnologie americane. Il grande freddo è iniziato da tempo, non solo verso la Russia. E la fine della dipendenza energetica europea dal gas russo sarà l’ultimo passo verso il gelo globale.

La morte della globalizzazione sconvolge le politiche universitarie che hanno trionfato nel nuovo millennio. I flussi transfrontalieri di sapere e di costruttori di sapere – studenti, ricercatori e docenti – potrebbero prosciugarsi. Le nazioni in guerra (fredda) faranno affidamento sulle attività accademiche delle proprie istituzioni e a quelle degli alleati più fidati, coloro che la pensano allo stesso modo, allineati e coperti. Le nuove tendenze globali mineranno una missione fondamentale della università utilitaristica dei nostri giorni – preparare o riqualificare i lavoratori per l’economia della conoscenza – giacché la filiera alimentare e industriale verrà ripristinata all’interno dei confini nazionali, dove perfino nel lavoro manuale e ripetitivo si ricorrerà sempre di più ai propri cittadini.

L’inizio del XIX secolo segnò la nascita dell’università moderna in Europa. Accadde quando il modello tedesco (humboldtiano) fondato sulla libertà del sapere ebbe il sopravvento su quello imperiale, del tutto autoritario, come racconto in un libretto pubblicato in inglese da Springer e del tutto ignorato in Italia (Morte e Resurrezione delle Università, 2019). Era il 21 marzo del 1810, quando l’imperatore dei francesi arringò il Consiglio di Stato con queste parole: “Il Corpo universitario avrà il compito di dare per primo l’allarme e di essere pronto a resistere contro le pericolose teorie degli spiriti singolari… che cercano di agitare l’opinione pubblica. […] Negli Stati bene organizzati c’è sempre un corpo destinato a considerare i principi della morale e della politica”.

Il meteo, la supponenza imperiale e una buona dose di sfortuna contribuirono alla sconfitta di Napoleone a Waterloo. Ma le idee imperiali sopravvivono in eterno e rifioriscono oggi nell’area del mondo accademico più bellicosa, bellicista e prona alla volontà politica. Nel nuovo disordine globale, le istituzioni accademiche si appiattiranno giocoforza sulla necessità politica e sulla ragione economica e finanziaria dettata dal mercato; quando non hanno già fatto, giacché i Pierini sono in servizio permanente ed effettivo, se perfino Dostoevskij ne ha fatto le spese.

Il gelo è già entrato nella nostra vita, se “l’istante in cui è morta la globalizzazione è stato quando Cina, India e Sud Africa si sono astenute tutte nel voto delle Nazioni Unite che condannava l’invasione russa”, come ha scritto un giornalista inglese, Robert Peston. La Russia ha una enorme responsabilità, ma non credo che l’occidente, più o meno unito, la Cina e l’Africa, l’India e l’America Latina abbiano tutti remato compatti contro la corrente siberiana. Come scrisse Mark Twain in The War Prayer: “Fu davvero un momento di felicità e di grazia, e quella mezza dozzina di spiriti sconsiderati, che si peritavano di disapprovare la guerra e di dubitare che fosse giusta, riceverono lì per lì un tale severo e adirato rimprovero che per salvaguardare la loro incolumità personale si resero presto introvabili e si astennero dal ripetere simili offese”.

Spesso dimentichiamo che la Russia è un paese che ha applicato scrupolosamente la riforma ordo-liberale prima di trasformarsi in aggressore nazionalista. La globalizzazione è stata molto apprezzata da chi la diffondeva con impeto religioso e da chi, in virtù della globalizzazione, bandiva la propria fame assaggiando il benessere. Ma è stata anche declinata con generose dosi di strabismo, cinismo e imprudenza; usando bastoni e carote non sempre condivisi né dai bastonati né dai roditori, pur riconoscenti; e nel disprezzo per la geografia e il clima, due concetti che, agli albori della climatologia, coincidevano.

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