C’è una domanda ricorrente che circola tra Bruxelles e le capitali europee in questi giorni: l’Europa è veramente pronta a chiudere le porte definitivamente al gas russo? Le floride relazioni commerciali tra Stati dell’Ue (in primis Germania e Italia) e la Federazione Russa, che hanno contraddistinto gli anni post sovietici, sembrano essere arrivate agli sgoccioli. Rimane però un lungo cordone ombelicale che ci lega alla Russia e che prende forma nelle immense infrastrutture di gasdotti che come tentacoli tengono in ostaggio mezza Europa.

Dopo le orribili immagini recapitateci da Bucha, in Ue si riducono i già esigui spazi per le negoziazioni e si accelera su quelle che sembravano sanzioni impossibili ma fondamentali, se si vuole smettere di finanziare la guerra di Putin, come l’embargo a petrolio, carbone e gas russo. Il nettissimo voto di ieri in Parlamento europeo, in cui tutti gli eurodeputati italiani abbiamo votato compattamente a favore (unica inspiegabile eccezione Carlo Calenda), è un messaggio politico chiarissimo per commissione e Consiglio Ue e rende l’embargo una prospettiva forse non immediata, ma sicuramente molto concreta.

Ma se per carbone e petrolio il destino sembrava già scritto (nel quinto pacchetto di sanzioni la Von der leyen ha già chiesto embargo per il carbone, nonostante la dipendenza tedesca), per il gas il discorso è molto diverso, sia in termini di valore (sono circa 15 miliardi al mese quelli che diamo al regime di Putin solo per il gas) che di dipendenza energetica (soprattutto tedesca e italiana).

In Germania la situazione sul tema è parecchio delicata. La lodatissima Angela Merkel, la cui eredità politica oggi è pesantemente in discussione, ha di fatto consegnato le chiavi della sicurezza energetica della grande Germania alla Russia di Putin, mentre il suo predecessore come cancelliere, Gerhard Schröder, di colore politico diverso dal suo (SPD, centrosinistra) imbarazza ancora di più il popolo tedesco siedendo ai vertici di società russe vicine all’universo di Putin e agendo da lobbista del colosso energetico Gazprom. L’imbarazzo dei tedeschi, dislocati qui a Bruxelles tra i vari gruppi parlamentari europei, da sinistra e destra, è piuttosto evidente. Sanno che i governi precedenti li hanno messi nelle mani di Putin e hanno quindi un problema di una certa entità rispetto ad un immediato stop al gas russo.

Ricordate la crisi della zona euro? Quando la Germania diceva ai cosiddetti PIGS che avrebbero dovuto accelerare l’austerità: “un rapido aggiustamento sarebbe stato meno doloroso”, dicevano. Neanche troppo sorprendentemente, gli argomenti e la radicalità oggi sono cambiate, i ministri tedeschi affermano che l’economia deve adattarsi gradualmente alle nuove realtà energetiche. I rapidi aggiustamenti non ci sono più. Qualcuno lo chiamerebbe Karma.

La verità è che, calcoli alla mano, se la Germania tagliasse il gas russo perderebbe il 3% del Pil in soli 18 mesi e per riprendersi economicamente avrebbe bisogno di almeno 10 anni. In compagnia della Germania troviamo Austria, Ungheria e leggermente più defilata anche l’Italia.

Ovviamente il problema esiste e non si può pensare ad uno stop totale da un giorno all’altro. Un embargo dal gas russo è possibile, sono già stati pianificati interventi attraverso il programma Repower Eu e gas storage, ma ci vuole un po’ di tempo. Senza quel tempo la prossima estate, ossia durante il periodo in cui si stocca il gas per l’inverno, non ci consentirebbe di accumulare sufficienti risorse per far fronte al prossimo inverno.

E’ bene spiegare subito che le soluzioni che oggi abbiamo per rimpiazzare il gas russo sono costose. Gli Stati Uniti – che vendono gas estratto con le impattanti tecniche di shale gas – stanno negoziando con il Qatar che potrebbe diventare un sostituto fondamentale della Russia nella fornitura di gas all’Ue e al resto del mondo, ma il Qatar necessiterebbe di investimenti importanti nelle infrastrutture per il gas e di contratti di lungo termine.

Poi ci sono i Paesi africani, che posseggono alcuni tra i più vasti giacimenti di gas del mondo e che potrebbero sostituire una domanda annua di 150-190 miliardi di metri cubi forniti attualmente dalla Russia all’Europa. La Tanzania, per esempio, afferma di essere al lavoro con la Shell per usare le sue enormi riserve di gas offshore ed esportarle in Europa e altrove. Altri importanti giacimenti di gas si trovano in Angola e in Mozambico. Il più grande produttore di gas dell’Africa è la Nigeria, che ha già annunciato di voler costruire un gasdotto trans-sahariano lungo 614 chilometri che porti il gas nigeriano in Algeria e da lì in Europa. Proprio dall’Algeria parte il Maghreb-Europa, il gasdotto che attualmente esporta più gas naturale dall’Africa, trasportandolo attraverso il Marocco, la Spagna e il Portogallo.

Ma è veramente questa la risposta che vogliamo dare alla nostra dipendenza energetica? Chiarito il fatto che nel breve tempo avremo bisogno del gas, importandoli da altri, non dobbiamo fare lo stesso errore nel continuare ad investire in nuove infrastrutture che ci porterebbero a nuove dipendenze economiche e costose conseguenze sociali e climatiche. Le fossili costano di più, inquinano di più e creano i presupposti sia di dipendenza e insicurezza, che di nuove guerre.

Come riportato dal report del IPCC, presentato qui in Parlamento europeo, per uscire dal guaio in cui ci siamo infilati abbiamo in realtà la tecnologia e gli strumenti. Esistono opzioni in tutti i settori perché si riescano almeno a dimezzare le emissioni entro il 2030 – suggeriscono gli scienziati dell’Ipcc, che hanno elencato alcune delle strategie da attuare – Una sostanziale riduzione dell’utilizzo di combustibili fossili, la diffusione dell’elettrificazione, il miglioramento dell’efficienza energetica, l’uso di combustibili alternativi come per esempio l’idrogeno”. L’obiettivo di affrancarsi dal gas va letto anche nel contesto dell’altra grande sfida del nostro tempo: i cambiamenti climatici.

Nel caso italiano, l’incremento di gas nazionale non rappresenta una soluzione sostenibile: l’incremento di 2 miliardi di metri cubi all’anno, previsto dal piano del governo, corrisponde solo al 6% delle importazioni di gas russo, con costi di estrazione molto più elevati. Molto meglio sarebbe concentrarsi su alcune misure pratiche, tra le quali il risparmio sul riscaldamento, l’efficienza energetica e sostituzione delle caldaie a gas con pompe di calore, il risparmio nel settore elettrico e, non da ultimo, lo sviluppo delle reti di fonti rinnovabili, vero motore per un’accelerazione di produzione di energia rinnovabile in Italia con impianti fotovoltaici su tutti gli edifici e nel settore industriale.

La Russia di Putin ha finora agito e aggredito consapevole del fatto che quelli che definisce “Paesi ostili” versano nelle sue casse quasi un miliardo di euro al giorno, una enormità. Sarebbe lo stesso senza queste risorse? Ci sono quasi un miliardo di motivi per pensare di no.

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