“Rinviare la chiusura delle centrali nucleari e riattivare quelle a carbone”. L’Unione europea va in corto circuito. Che sa di resa rispetto ai piani economici e ambientali e rispetto a ciò che già sarebbe dovuto essere sul tavolo a pochi giorni dalla presentazione del terzo volume del Sesto Rapporto di Valutazione del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico. In un’intervista al quotidiano La Stampa, il commissario europeo all’Industria e al Mercato interno, il francese Thierry Breton illustra i dettagli del piano di contingenza a cui sta lavorando “per essere pronti” nel caso in cui dovessero interrompersi le forniture di gas dalla Russia (per scelta dell’Unione o della stessa Russia). Un piano, specifica, che si sta mettendo a punto “nella speranza di non usarlo”. Obiettivo: sostituire 155 miliardi di metri cubi di metano che i Paesi dell’Unione europea importano da Mosca. Chi più, chi meno, a seconda del mix energetico. Solo che le alternative, pur includendo la spinta alle rinnovabili, rischiano di non permettere all’Europa di raggiungere l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra al 55% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990. E di dare un messaggio pericoloso ai Paesi extraeuropei che inquinano molto di più e ai quali si chiede di fare uno sforzo importante. Insomma, il rischio più grave è quello di accelerare in modo drastico la corsa che sta portando il pianeta vicino alla soglia di 1,5 gradi di aumento della temperatura globale.

Carbone e nucleare per sostituire 50 miliardi di metri cubi di gas – Al quotidiano torinese, quindi, il commissario Breton spiega che entro la fine dell’anno l’Unione europea può “sostituire 50 miliardi di metri cubi di gas con l’aumento delle forniture di gas naturale liquefatto” con l’incremento della rigassificazione. Altri 19 miliardi “via gasdotto, soprattutto a Sud, dal Nord Africa o dall’Est”. E, ancora, 14 miliardi si potrebbero recuperare “abbassando termosifoni e climatizzatori e accelerando il risparmio energetico. Altri 25 miliardi potrebbero essere sostituiti puntando sul biometano, ma anche su eolico e solare. Restano altri 50 miliardi di metri cubi, almeno per una parte dei quali si pensa alle “misure estreme” di non chiudere o riaprire le centrali di carbone (il peggio in quanto a emissioni) e di puntare sul nucleare (che fonte pulita non è certamente). La prima è una proposta non nuova per l’Italia, dato che lo stesso premier, Mario Draghi, l’aveva prospettata settimane fa, probabilmente pensando più a una soluzione di ‘non chiusura’. Circa 20 miliardi di metri cubi di gas sarebbero sostituiti dal carbone (14 solo dalla Germania) e altri 12,5 miliardi di metri cubi dal nucleare. Ed anche qui non si fa fatica a trovare, per quanto riguarda l’Italia, dichiarazioni di apertura verso l’energia dell’atomo, pronunciate sia dal premier sia dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Rispetto al nucleare, le dichiarazioni di Breton non possono destare meraviglia. Anche prima del conflitto tra Russia e Ucraina, il commissario francese aveva già detto la sua, che poi rispecchia la posizione di Parigi: “Le centrali di nuova generazione richiederanno all’Unione europea un investimento di 500 miliardi di euro, da qui al 2050”. Ovviamente non tutti i Paesi sono nella condizione di poter aumentare le varie quote di mix energetici, a seconda della necessità. E allora, spiega Breton, si dovrà trovare il modo “di distribuire l’energia e aiutare, con spirito di solidarietà, quei Paesi che hanno scelto di essere più dipendenti dal gas e, in particolare, da quello russo”. A questo punto si aprono diversi scenari.

Breton: “Alcuni Stati sono stati più prudenti” – Ma Breton su quei Paesi che avrebbero scelto di diversificare, ‘constatando’ (“non sono qui per giudicare”) che la Germania “ha scelto di fermare le centrali nucleari, passando a un maggior utilizzo del gas e del carbone russi”, mentre l’Italia “ha deciso di avere nel suo mix energetico il 40% di gas, con il 40% di questo che arriva dalla Russia”. Di fatto, Roma acquista 30 dei 155 miliardi di metri cubi importati da tutta l’Unione europea, una fetta del 20%. Ma davvero il problema è la ‘diversificazione’ o semplicemente una questione di fonte energetica? Perché se si confrontano i dati del mix energetico, si scopre che la Germania e l’Italia non sono le uniche ad aver intrapreso strade che comportavano dei rischi.

Chi e come ha differenziato – Come riporta il Climate Transparency Report del 2021, il mix energetico della Germania al 2020 era composto dal 6% di nucleare, il 15% di rinnovabili, il 16% di carbone, il 27% di gas e il 34% di petrolio. Quello dell’Italia è composto per il 3% di carbone, l’18% di rinnovabili, il 31% di petrolio e il 42% di gas. Quello della Francia, non citata da Breton ma tra le potenze che più puntano sul nucleare (àncora di salvataggio secondo il piano di contingenza), è composto dal 3% di carbone, 8% di rinnovabili, 16% gas, 28% petrolio e 43% di nucleare, dal quale la Francia ricava il 70% dell’energia che consuma. Anche questa è dipendenza. Tanto che nel 2017 il premier si era impegnato a ridurre questa quota al 50% entro il 2025. Ed è una dipendenza che ha portato debiti per oltre 40 miliardi al colosso francese Électricité de France, controllata per l’84% dallo Stato. A febbraio, Parigi ha approvato un aiuto di Stato di oltre 2 miliardi di euro per il gigante energetico. Per molti è stata una ricompensa per aver tenuto i prezzi calmierati, anche se fonti ufficiali hanno spiegato che l’obiettivo e aiutare l’azienda di Stato a superare le difficoltà che coinvolgono da mesi il settore, ma anche per sostenere il costo della costruzione di nuovi reattori nucleari. Lo stesso Breton, sempre a inizio hanno, ha chiarito: “Solo gli impianti nucleari già in funzione necessitano di 50 miliardi di euro di investimenti fino al 2030”. Tanto sono alti i costi da spingere Emmanuel Macron a fare pressioni per mesi perché il nucleare fosse incluso nella Tassonomia Verde europea. Il nucleare, e il gas. Ora, anche se il contesto economico e geopolitico hanno spinto in queste settimane non solo Berlino, ma anche Parigi a incrementare l’uso del carbone per produrre elettricità, il cerchio in qualche modo si è chiuso. E forse Breton lo aveva fatto capire anche pochissimi giorni fa, quando – parlando del nuovo pacchetto relativo all’economia circolare – ha detto: “I consumatori europei si aspettano giustamente prodotti più rispettosi dell’ambiente e più duraturi. Maggiore sostenibilità ed efficienza delle risorse significa anche maggiore resilienza, quando una crisi interrompe le nostre catene di approvvigionamento industriali”.

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