Il Consiglio di Stato ha emesso una importantissima sentenza lo scorso 16 marzo. La sentenza prende spunto da un ricorso presentato da Roma Capitale contro Investire SGR spa (Gruppo Banca Finnat Euramerica S.p.A, che gestisce attualmente un patrimonio di oltre sette miliardi di euro distribuito su 52 fondi immobiliari), proprietaria dell’immobile occupato in viale delle Province 196/198, che aveva ottenuto dal Tar del Lazio la diffida a Comune Prefettura a eseguire lo sgombero entro 120 giorni, stante, a detta di Investire SGR spa, di un inadempimento, da parte del Comune e della Prefettura di Roma, nel procedere alla esecuzione.

Il Consiglio di Stato, nel richiamare l’articolo 31–ter della legge 1 dicembre 2018, n. 132, ha sottolineato come negli sgomberi si deve tenere conto non solo dei diritti dei proprietari ma dei livelli essenziali di assistenza delle famiglie interessate e, in tale contesto, il citato articolo 31-ter prevede la costituzione di una apposita cabina di regia che vede la presenza di rappresentanti della Prefettura, della Regione, del Comune e dell’ente competente in materia di edilizia residenziale pubblica, in questo caso l’Ater. E’ il dettato normativo, secondo il Consiglio di Stato che delinea le iniziative finalizzate allo sgombero dell’immobile occupato, ma lo sgombero può avvenire nella tutela dei diritti primari delle persone e dei nuclei famigliari occupanti che versano in condizioni di fragilità e questo presuppone che gli enti locali eseguano un censimento per accertare le situazioni in disagio economico e sociale.

Sulla base di questi percorsi il Prefetto di Roma con provvedimento n. 280617 del 18 luglio 2019, aggiornato e implementato con il provvedimento n. 121850 del 1 aprile 2022 e reso noto il 4 aprile 2022, ha definito un ordine di esecuzione degli sgomberi di 29 immobili. Questi provvedimenti tengono conto della insufficienza del sistema welfare pubblico, ovvero la mancanza di case popolari e il Prefetto ha provveduto a distribuire in un arco di anni gli interventi di sgombero, per consentire a Roma Capitale di avere il tempo per mettere in campo i necessari interventi assistenziali in favore delle famiglie occupanti in condizione di fragilità economica e sociale.

Il Consiglio di Stato afferma in maniera chiara che l’ostacolo nel procedere nello sgombero non deriva da questioni tecniche della disponibilità di forze di polizia ma dal fatto che “il Prefetto di Roma non può dare esecuzione allo sgombero in assenza di contestuali concrete azioni di tutela delle fragilità economiche e sociali degli occupanti abusivi alla cui realizzazione sono chiamate la Regione Lazio e Roma Capitale”. La portata di questa sentenza del Consiglio di Stato, che oggettivamente fa giurisprudenza, ovviamente non riguarda e non può essere limitata alla realtà di Roma ma si riverbera a livello nazionale.

Fin dall’entrata in vigore della legge 132/2018, una legge dell’allora Ministro Salvini, Unione Inquilini, aveva dato esattamente l’interpretazione oggi fornita dall’autorevole Consiglio di Stato: eventuali sgomberi di occupazioni abusive devono essere programmati e in ogni caso devono prevedere da parte di Regione e Comune, prima dell’effettuazione dello sgombero, una assistenza concreta quale è il passaggio da casa a casa e, in particolare, dato che si riferisce a famiglie in disagio economico e sociale, in case popolari a canone sociale.

Qui si apre un altro capitolo: quello della capacità da parte delle Regioni e dei Comuni, quindi non solo del Lazio e di Roma Capitale, di dotarsi di un parco alloggi pubblici capace non solo di determinare la garanzia dei livelli essenziali alle famiglie da sgomberare ma anche alle famiglie in graduatoria. Del resto i concetti espressi dal Consiglio di Stato possono e devono essere alla base anche delle esecuzioni di sfratto che riguardano singoli casi per evitare un vulnus, al quale assistiamo quotidianamente, di sfratti eseguiti con forza pubblica di famiglie in disagio economico e sociale persino in presenza di minori, persone disabili e anziani per i quali non viene fornita alcuna assistenza.

Ma il tema più rilevante, che la sentenza del Consiglio di Stato del 16 marzo 2022 mette in luce, è che esistono livelli essenziali di assistenza anche in tema abitativo e che questi sono in capo a Regioni e Comuni e il diritto all’abitare è prioritario al diritto alla proprietà privata perfino nei casi di occupazione abusiva determinata da bisogni insopprimibili, ma non solo in questi casi. Ora diventa determinante che l’Italia riprenda il percorso di avvio di politiche abitative pubbliche e di aumento della disponibilità di case popolari a canone sociale, se si vuole affrontare seriamente la questione abitativa, che ha sfaccettature multiple e che oggi il Consiglio di Stato afferma non essere questione da delegare all’ordine pubblico.

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