Da un report della Direzione Emergenza alloggiativa del Comune di Roma si evince come il social housing, lasciato nella gestione, in mano ai costruttori, diventa una truffa sociale. Il report si riferisce a quegli alloggi che sulla base di contributi pubblici consente a imprese edili e cooperative di realizzare alloggi da destinare in toto o in una percentuale del 30%, ai fini di housing sociale. Case da cedere in affitto a canone convenzionato intorno ai 5 euro/mq, a particolari categorie. Il report della Direzione Emergenza alloggiativa di Roma, afferma, come si apprende da anticipazioni di stampa, che questi alloggi sono stati assegnati a soggetti beneficiari, che nella maggioranza dei casi, non appaiono economicamente fragili e/o bisognosi. Nuclei familiari spesso “vicini o legati all’impresa o cooperativa per rapporti di lavoro, parentali o amicali”.

Sui primi 301 contratti verificati sono state individuate 104 violazioni. Più di un terzo degli affittuari degli alloggi di edilizia sociale è sicuramente abusivo. Altri 63 casi sono ancora sotto inchiesta, mentre 24 posizioni risultano “dubbie”.

Sempre il report afferma che durante la prima tornata di verifiche, “raramente si sono riscontrati casi con reali fragilità sociali“. Pochi i nuclei numerosi, gli anziani ultrasessantacinquenni, i disabili e chi suo malgrado è reduce da uno sfratto. Troppi gli appartamenti affidati ad amici, parenti e colleghi dei 90 imprenditori che li hanno realizzati.

Tale report ha fatto molto scalpore perché ha sancito come il social housing a Roma di fatto sia diventato per cooperative e imprese di costruzioni il modo per realizzare una cementificazione del territorio, con risorse pubbliche, quindi molto housing e poco social, senza che questi alloggi, destinati a famiglie in disagio abitativo ne risultassero le effettive beneficiarie.

Ma quanto riportato nel report del Comune non è una novità. Si tratta di un sistema che negli ultimi venti anni, ho definito “social housing all’amatriciana” ne ho parlato diverse volte. Si tratta di questione annosa e conosciuta, ad esempio: nel 2012 la Guardia di Finanza a Roma sequestrò 326 appartamenti a Spinaceto perché i costruttori di quel social housing avevano affittato gli appartamenti applicando affitti raddoppiati rispetto a quello convenzionato, sia chiaro per una denuncia presentata da inquilini, mica, all’epoca, dal Comune o dalla Regione.

Ma perché è successo e succede questo? Per una assoluta sudditanza da parte delle amministrazioni pubbliche nei confronti dei costruttori.
Se il pubblico, vedi Regione, Comune o Cassa Depositi e Prestiti ci mettono soldi o aree per un intervento che dovrebbe essere social è del tutto evidente che a decidere chi va in quelle case dovrebbe essere il comune con apposito bando pubblico, destinato a chi ha redditi superiori a quelli per partecipare ai bandi per case popolari ma inferiori a, per esempio, 60mila euro. Ovvero coloro che non riescono a stare nel mercato per i prezzi esosi raggiunti. Invece no! Nel social housing “alla amatriciana” il pubblico ci mette i soldi o le aree e lascia disinvoltamente ai costruttori di scegliere le famiglie a loro discrezione, in quanto non si è previsto che siano i comuni ad indicare le famiglie assegnatarie, con appositi bandi comunali.

Da tale contesto cosa poteva derivare se non che i costruttori decidessero di dare quelle case a chi deciso da loro, senza alcun controllo pubblico e soprattutto senza alcuna ricaduta sociale? Circa due anni fa l’Unione Inquilini incontrò alti funzionari della Cassa Depositi e Prestiti cercando di fare il punto sul social housing. Quando gli chiedemmo quali erano i redditi delle famiglie effettivamente assegnatarie di social housing ci risposero che questo dato non lo avevano e che comunque non lo avrebbero fornito per tutelare gli investitori. Capito l’antifona?

Ora siamo di fronte alla necessità di un intervento che dia coerenza e trasparenza ai programmi di social housing, apportando modifiche sostanziali alla gestione di questi programmi a livello nazionale. Ho tre proposte:

1) che i programmi di social housing si rivolgano prioritariamente a immobili da recuperare quindi senza consumo di suolo;

2) che si privilegino programmi di social housing da parte di Aler o Ater etc, gli unici che potrebbero locare a 250 euro/mese;

3) che gli alloggi di social housing siano in ogni caso assegnati tramite bando pubblico comunale e gli affitti definiti in rapporto al reddito attraverso accordi integrativi con i sindacati inquilini, tenuto conto del valore dell’apporto del pubblico in aree o risorse stanziate; oppure utilizzati per i passaggi da casa a casa nelle esecuzioni degli sfratti.

Questo tema riguarda tutta Italia, è un tema nazionale, visto che le risorse del Pinqua, quelle utilizzate per realizzare alloggi, sono andate in grandissima parte a social housing. Si tratta di dare certezza ad un intervento non sostitutivo delle case popolari, che può essere utile solo sotto il controllo e gestione pubblica.

Ps: a Roma in piena campagna ai confini con Pomezia si sta realizzando un programma di social housing da 240 milioni di euro, per 1.000 appartamenti. Ci buttiamo un occhio?

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