L’unica spiegazione possibile è che sia un problema di byte, che l’informazione mainstream italiana disponga di strumenti dalla memoria molto ridotta. Come quelle chiavette usb in cui tocca cancellare ciò che c’è dentro per fare spazio a nuovi file. Deve essere per questo che, per adeguarsi ai nostri media, nel mondo accade una sola cosa alla volta. Non c’è spazio per due eventi, uno esclude necessariamente l’altro. Per un anno e mezzo il coronavirus è stata l’unica cosa di cui valesse la pena parlare e ogni programma o giornale proponeva i propri virologi di fiducia h 24, mentre nel mondo non accadeva più nulla, se non qualcosa che avesse a che vedere con la “nostra” pandemia (per quella che colpiva africani, sudamericani, asiatici non c’era più spazio nella chiavetta).

Si è aperta una breve parentesi a dire il vero, al momento del cambio di governo e dell’annuncio del Pnrr, per cui per un po’ di giorni non si è parlato di virus. Virus che poi però ha ripreso il sopravvento, escludendo ogni altra cosa, fino alle non-elezioni del Presidente della Repubblica. Qui forse, di fronte a una così evidente epidemia di idiozia politica collettiva, è stato proprio il Covid a fare un passo indietro: ubi maior…

Ora c’è la guerra, questa guerra, perché le altre non le possiamo prendere in considerazione: Yemen, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Repubblica centroafricana, Nigeria… Ci spiace, non c’è spazio nella piccola memoria usb. Mi spiace, caro Totò, avevi torto: la morte non è una livella, i morti degli altri contano sempre un po’ meno dei nostri o di quelli che ci interessano per interesse. E l’ambiente? Già, se Greta e i tanti giovani che sfilavano ogni venerdì per i Fridays for Future erano riusciti a guadagnarsi qualche byte nella nostra informazione, ora sono spariti. Il riscaldamento del pianeta? Non rilevato, infatti si riparla di carbone, di nucleare, l’inquinamento è uscito dai radar e persino la farsa italiana della “transizione ecologica”, la cui agenda è dettata dagli industriali, sembra essere scomparsa dagli orizzonti mediatici.

In un’epoca in cui sempre di più sembriamo dipendere dall’infosfera, ci accorgiamo (ce ne accorgiamo?) di essere più che mai disinformati, nel migliore dei casi, se non male informati. E fino a quando le nostre decisioni dipenderanno da questo tipo di informazione, eurocentrica, italocentrica, capitalocentrica, sminuzzata e servita a piccole dosi, mai interconnesse tra di loro e mai contestualizzate nella rete di relazioni che le ha prodotte, saremo vittime non dei sistemi informativi, ma della nostra incapacità o pigrizia di conquistare un pensiero critico. Lo dimostra la tendenza attuale a condannare chiunque provi a ragionare fuori dagli schemi proposti dal pensiero dominante, la schematizzazione e la semplificazione, che riducono a slogan eventi tragici e complessi, che meriterebbero una memoria e una capacità assai più grande di quella della chiavetta che ci propongono.

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