di Federico La Mattina

In Ucraina si combatte da oltre un mese e come in ogni guerra tendono a formarsi visioni manichee e unidirezionali del conflitto. Questo avviene certamente in Russia e Ucraina, le quali hanno costruito artificiosamente la propria narrazione del conflitto funzionale alla propaganda di guerra ma, cosa più preoccupante, anche nei paesi estranei al conflitto assistiamo a una radicalizzazione delle posizioni politiche, accompagnata spesso dalla demonizzazione del dissenso. In Italia il dissenso pacifista quando non viene censurato (e avviene) viene dileggiato nel nome di una retorica vuota e astratta adesione ai “valori dell’Occidente”.

Abbiamo assistito al pubblico attacco e alla pubblica derisione di intellettuali di spessore che si sono opposti a una visione semplificatrice del conflitto in corso. Alcuni di essi, come Alessandro Orsini – il quale ha provato a fornire una chiave di interpretazione realista del conflitto – sono stati oggetto di una vera e propria operazione di distorsione del pensiero e Orsini ha dovuto persino difendere in un surreale dibattito televisivo l’abc del mestiere di storico e di studioso, rivendicando il diritto di discutere di avvenimenti di cui non si ha avuto una conoscenza diretta. Non è fuori luogo parlare di un vero e proprio clima neomaccartista che ha coinvolto, oltre a giornalisti e studiosi, anche artisti di nazionalità russa a cui è stata follemente richiesta una sorta di abiura preventiva. Le posizioni pacifiste dell’Anpi sono state spesso derise e distorte; finanche il pacifismo di stampo cattolico è stato spesso oscurato e le ragionevoli prese di posizione di Papa Francesco contro la guerra hanno ricevuto uno scarso seguito e sono state minimizzate dai grandi media.

Diversi intellettuali italiani hanno provato a fornire una visione complessa del conflitto e oltre al già citato Alessandro Orsini possiamo menzionare studiosi di spessore quali Luciano Canfora, Franco Cardini, Angelo d’Orsi e Aldo Ferrari. Le ragionevoli posizioni pacifiste del celebre fisico Carlo Rovelli sono state criticate perché evidentemente Rovelli si sarebbe dovuto limitare a “fare il fisico”, lasciando il tema della pace agli analisti e ricercatori presunti esperti (guarda caso tutti accomunati da una medesima visione degli avvenimenti con sbiadite gradazioni di divergenza).

Ciò che stupisce è il rifiuto di approfondire i fenomeni e di discuterne inserendoli in una prospettiva storica: come se tentare di comprendere significasse automaticamente giustificare. Prendere atto della tragicità della storia non significa giustificare il presente bensì tentare di comprenderlo senza fornire una visione degli eventi che sia monca. Non è infatti bastata l’aperta condanna dell’invasione russa da parte di diversi intellettuali che hanno espresso posizioni critiche sul ruolo dell’Occidente: per le vestali del pensiero unico bisogna conformarsi totalmente alla narrazione dominante e discutere solo sulle sfumature irrilevanti.

Al di fuori dell’Italia sono emerse molte analisi complesse e articolate come quelle di John Mearsheimer (celebre studioso di relazioni internazionali di scuola realista), dello studioso esperto di Russia Andrei Tsygankov o dello studioso di relazioni internazionali Stephen Walt. Queste analisi – spesso divergenti tra di loro su vari aspetti – sono accomunate dal tentativo di fornire una spiegazione sistemica degli avvenimenti in corso. Eppure dalle nostre parti si preferisce rispolverare soltanto Fukuyama…

Il fattore tempo limita fortemente la comprensione storica del conflitto: questa guerra sarà vista in modo differente in base alla prospettiva storica e alle conseguenze di medio e lungo termine. Studiare la storia nel mezzo degli eventi è inevitabilmente limitante ma tuttavia necessario. È insensato pensare di ridurre la visione di tali avvenimenti epocali (sintomatici di uno squilibrio sistemico nelle relazioni internazionali) a un manicheo scontro tra “buoni e cattivi”.

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