Il portale informativo Eurasianet è un osservatorio prezioso per provare a comprendere gli scossoni politici che agitano le regioni caucasiche o l’indice dell’influenza russa sulle terre centro-asiatiche. Da qualche giorno in Ossezia del Sud, regione georgiana che si prepara a consultazioni elettorali, si discute di annessione della piccola oblast alla Federazione Russa. È stato Anatolij Bibilov, presidente della regione caucasica, a dichiarare la possibile annessione alla Russia mediante un referendum, strumento già utilizzato in Crimea e oggi riproposto nella regione contesa di Lugansk. Non è un caso che quest’ultimo lembo posto a 900 chilometri a est di Kiev sia tra le poche entità ad aver riconosciuto l’Ossezia del Sud, seguita da altre regioni legate a doppio filo al Cremlino come il Donetsk e la Transnistria.

Tbilisi non accetta l’idea di una consultazione su una parte di territorio che ritiene ancora parte integrante del proprio Stato, referendum che – secondo i vertici georgiani – sarebbe falsato dall’avvenuta evacuazione forzata dall’area di migliaia di cittadini di etnia georgiana.

Nel Caucaso si fa spesso ricorso alla locuzione de facto per spiegare le dinamiche politiche, situazioni cristallizzatesi sul campo prive però di ratifica da parte della comunità internazionale. Succede in Abcasia, altra regione filo-russa rivendicata dalla Georgia ma nella pratica indipendente. Molto è cambiato, invece, negli ultimi tempi nella contesa sul Nagorno Karabakh: la recente riconquista da parte dell’Azerbaigian di buona parte dei territori del Nagorno ha fortemente affievolito l’influenza dell’Armenia nell’area. La Russia fa sentire il suo peso con proprie forze di interposizione formate da duemila uomini e ora Baku vorrebbe stringere il cerchio sul Karabakh (l’Artsakh per gli armeni), ma il presidente Aliyev non considera l’Armenia come controparte quando si discute del destino degli armeni locali. Secondo molti analisti tratterà la questione solo con il Cremlino, ora che la Russia vede l’Azerbaigian come la vera potenza nella regione.

Se il presidente della piccola repubblica del Karabakh lo scorso 22 febbraio accoglieva con favore la decisione della Federazione Russa di riconoscere l’indipendenza delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, esaltando il principio di autodeterminazione dei popoli, oggi convoca il Consiglio interno di sicurezza perché il nuovo assetto geopolitico riduce non poco le possibilità di contrastare le pressioni azere.

La Russia detta la linea politica nell’intera area facendo leva anche sulla capacità di sostenere, in modo massiccio, le economie locali, spesso povere. Molti paesi dell’Asia centrale dipendono, ad esempio, dal grano russo: all’avvio delle operazioni belliche per l’invasione dell’Ucraina la Russia ha imposto il divieto di esportazione di cereali agli altri membri dell’Unione economica euroasiatica. Ciò per garantire le scorte e quindi la sicurezza alimentare interna. Tuttavia la spinta dell’inflazione e un crescente malcontento sociale verso la stessa organizzazione eurasiatica hanno portato in questi giorni il Cremlino a una veloce retromarcia, tramite un alleggerimento del divieto.

La Russia è costretta ad affermare costantemente la propria supremazia, soprattutto ora che la Cina spinge sul fronte degli investimenti in centro Asia affermandosi come vero competitor economico. I cinesi, tuttavia, sono visti con diffidenza: un sondaggio del 2020 su 4500 persone ha rilevato che in Kazakistan e Kirghizistan oltre il 70% degli intervistati si è detto “molto preoccupato” per l’acquisto da parte dei cinesi di ampi latifondi nei loro paesi.

Il partito di Xi Jinping non persegue l’obiettivo di entrare nelle questioni politiche interne dei paesi euroasiatici: la sfera di influenza rimane circoscritta soprattutto al campo economico. E’ come se i cinesi conoscessero il vecchio adagio russo: nel monastero altrui non si va con le proprie leggi.

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