Come previsto, nessuno paga per il disastro del calcio italiano, per la seconda volta di fila fuori dai Mondiali, 12 anni interminabili anni consecutivi. I responsabili non si sono dimessi e non gli è stato nemmeno chiesto di farlo. Anche Giovanni Malagò ha riconfermato il presidente della Figc, Gabriele Gravina, e il ct Roberto Mancini. Gravina “ha ricevuto una forte condivisione elettorale”. Mancini “è la scelta migliore possibile”. Una benedizione, che assomiglia ad una “grazia”.

In qualità di capo dello sport italiano, il n.1 del Coni avrebbe potuto richiamare il presidente del pallone alle sue responsabilità politiche, chiedergli conto di questa eliminazione e di tutte le promesse di riforma mancate negli ultimi quattro anni. Cacciarlo no, perché le Federazioni sono autonome, ma quasi costringerlo a dimettersi. Come fece quattro anni fa con Carlo Tavecchio. Nel 2017, all’indomani dello spareggio fatale contro la Svezia, Malagò fu in prima linea nel chiedere una “riflessione” al presidente federale, anzi,si può dire che fu decisivo nel passo indietro di Tavecchio, intenzionato all’inizio a resistere ma poi sfiduciato. In pochi spostano l’umore delle istituzioni e dell’opinione pubblica come Malagò. Stavolta no: Gravina è stato quasi protetto, facendo figli e figliastri, perché in passato anche altri presidenti di altre Federazioni (atletica, rugby) erano state trattate con molta meno comprensione nei momenti più difficili.

“Ho fatto una mia considerazione che tutti hanno condiviso – ha spiegato –, il presidente Gravina ha ringraziato per la fiducia, conscio di quelle che sono le realtà del momento e le sfide da affrontare”. Come a dire: Gravina può andare avanti senza problemi. Le parole sono arrivate al termine dell’ultima giunta Coni, di cui lo stesso Gravina è membro dallo scorso maggio. E proprio così, probabilmente, si spiega questa disparità di trattamento: quattro anni fa, la Figc di Tavecchio era in rotta col Comitato olimpico, che sognava di commissariare il pallone (come poi è puntualmente successo, con risultati però deludenti). Dopo trascorsi burrascosi, invece, Malagò e Gravina si sono riscoperti in sintonia, tanto da far tornare il calcio in giunta Coni dopo anni di assenza. Che l’alleanza sia vera o di facciata, oggi Malagò non aveva reale interesse a sollevare il caso: conviene più avere in giunta un Gravina indebolito (“un’anatra zoppa” lo definiscono ormai i più attenti conoscitori del palazzo), piuttosto che aprire una crisi dagli esiti imprevedibili nella Federazione maggiore. Infatti così è andata: una piccola tirata d’orecchi per i rapporti conflittuali con la Serie A (“è indispensabile nei momenti di complessità, facendo alcuni sforzi e magari qualche passo indietro, compattare la squadra”: insomma, basta guerra a Lotito) e per il resto spallucce. “Noi avevamo una squadra che ha vinto, l’Europeo e ora non va al Mondiale, siamo dispiaciuti ma compatti”.

Talmente compatti, che nella riunione al Foro Italico non solo il padrone di casa ha di fatto “riconfermato” Gravina, ma tutti gli altri presidenti gli hanno addirittura manifestato solidarietà e vicinanza. A partire da Gianni Petrucci, n. 1 della pallacanestro italiana, che del resto di eliminazioni se ne intende: sotto la sua gestione la nazionale non si è qualificata alle Olimpiadi per tre edizioni di fila (2008, 2012, 2016) e lui è sempre rimasto tranquillamente al suo posto. “Sono situazioni cicliche”, anzi semmai la colpa è dei giocatori che non vestono più volentieri la maglia azzurra. Persino il tiro a volo di Luciano Rossi, che grossi problemi di vittorie non ne ha mai avuti, si schiera con Gravina. È la casta dello sport, che con perfetto spirito di sopravvivenza protegge se stessa. Non sia mai che un domani possa toccare anche a loro.

Twitter: @lVendemiale

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