di Carmelo Sant’Angelo

Non intendo infilarmi al collo il cappio della logica binaria che sta serrando il dibattito internazionale sulla guerra in Ucraina. Non sono sufficientemente daltonico per vedere da un lato tutti i torti e dall’altro esclusivamente le ragioni. Così come non è mia intenzione parteggiare per alcuna delle fazioni in campo, alimentando le divisioni tra interventisti, neutralisti, attendisti, pacifisti…

Da questa posizione agnostica non posso che invidiare la risolutezza di Enrico Letta che, sin dal primo momento, ha proposto l’invio delle armi agli aggrediti. Si è speso con abnegazione affinché le forze politiche sposassero la medesima causa. Se avesse usato la stessa determinazione per il salario minimo o per le tutele del lavoro oggi non avremmo un esercito di salariati poveri e sfruttati. Peccato che un politico così caparbio ed ostinato non militi in un partito di sinistra! È anche vero che l’eroico furore con cui ha difeso il ddl Zan ha portato all’affossamento del provvedimento. A volte non sono sufficienti le buone intenzioni se supportate da una tattica suicida.

A fare da spalla al “gendarme della Sorbona” si è immediatamente speso anche il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che ormai si propone come una Y10 d’epoca, che “piace alla gente che piace”. “Lavoriamo per la pace, lavoriamo per un cessate il fuoco immediato per poter portare via bambini, le donne ferite” ha spiegato il ministro. Molto probabilmente sarà la via omeopatica per la risoluzione del conflitto, per cui il “simile si cura con il simile”: inviamo le armi per una de-escalation del conflitto. Può darsi sia la soluzione giusta, atteso che molti altri paesi europei stanno facendo la stessa cosa. Lo stesso ministro ha anche dichiarato: “Non stiamo entrando in guerra, stiamo facendo arretrare Putin”.

Su questo punto, utilizzando le parole di Camilleri, sia Di Maio che Letta ci stanno raccontando la “mezza messa” e dispiace l’atteggiamento reticente di Enrico Letta, che è laureato in diritto internazionale.

Il diritto internazionale di neutralità regola le relazioni tra gli Stati che partecipano a un conflitto armato internazionale (Stati belligeranti) e quelli che non lo sono (Stati neutrali). Uno Stato neutrale deve difendere i propri diritti, ma rimanere imparziale nei confronti dei belligeranti. I modi per violare la neutralità, senza l’uso della forza, sono variegati. Lo si può fare fornendo materiale bellico, direttamente o indirettamente; inviando consiglieri militari a supporto di una parte; attraverso un massiccio sostegno finanziario a favore di una parte in conflitto, ecc.

La violazione della legge di neutralità, sebbene possa suscitare contromisure, non è comunque sufficiente a rendere lo Stato “non più neutrale” parte di un conflitto armato. Uno Stato diventa co-belligerante secondo la legge della neutralità: 1) dichiarando guerra; 2) partecipando alle ostilità in misura significativa; 3) attraverso la violazione sistematica o sostanziale dei suoi doveri di imparzialità e non partecipazione.

Secondo un memorandum del 2004 dell’Ufficio di consulenza legale degli Stati Uniti, scritto dall’allora assistente procuratore generale Jack Goldsmith, “la determinazione se uno Stato è un ‘co-belligerante’ (…) si basa sul fatto che la partecipazione sia strettamente correlata alle ostilità”. Come si valuta l’esistenza di questa “correlazione”? Secondo l’allora relatore speciale delle Nazioni Unite, Christof Heyns, “la co-belligeranza (…) comporta che uno Stato sovrano diventi parte di un conflitto, sia attraverso processi formali che informali. Un trattato di alleanza può essere concluso come un processo formale, mentre un processo informale potrebbe comportare la fornitura di assistenza o la creazione di una causa comune con le forze belligeranti”.

In sintesi, abbiamo tutti i titoli per aspirare a diventare da Stato neutrale a co-belligerante. In tale evenienza, sappiamo chi ringraziare.

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