Piani di reinsediamento lenti e pocket money sospesi: non accenna a diminuire l’intensità della protesta di rifugiati e richiedenti asilo davanti al centro Unhcr di Zarzis, sud della Tunisia. Da quasi un mese più di cento migranti africani stanno vivendo in strada e chiedono diritti e di essere aiutati, inscenando una protesta a tratti aspra al punto da spingere la direzione di Unhcr a chiedere l’intervento della polizia: “Siamo stati abbandonati dall’Alto Commissariato per i Rifugiati, chiediamo al mondo di essere evacuati da qui, la Tunisia non è un Paese ospitale. Siamo continuamente minacciati e abbiamo paura. L’unica alternativa è tornare in Libia da dove siamo scappati per cercare la fortuna via mare”. Omar Ibrahim Abdulrasoul, 41enne, sudanese, è uno dei leader della protesta e la sua posizione è molto dura e chiara: “Il problema principale non sono i pochi soldi che ci passavano mese dopo mese, ma la promessa di essere inseriti nel programma di resettlement. Invece di essere salvati ci hanno buttato in mezzo alla strada. Per noi non c’è futuro, siamo disperati. Non pensavo, dopo le violenze subite nel Darfur e la fuga verso l’Europa, di ritrovarmi a questo punto e come me tanti altri. Gente come Isis Terfeh, sopravvissuto ai massacri in Eritrea e alle torture a Sirte nel 2015 e poi donne, bambini”.

Nel 2021 Unhcr Tunisia ha consentito il reinsediamento di 76 nuclei familiari di rifugiati su 145 domande. I tre centri Unhcr in Tunisia – Zarzis, Medenine e Tunisi – ospitano 400 persone, ma il numero è sempre variabile tra arrivi e uscite. Nel 2022 le domande sono 124 e per ora c’è stata una sola partenza. Nei centri del sud della Tunisia ci sono nuclei familiari che attendono di essere accolti in Europa da quasi 4 anni: una vera e propria condanna : “Il percorso è lento e il numero di famiglie che ce la fa molto basso. Purtroppo non dipende da noi, ma dai Paesi ospitanti che nel caso della Tunisia sono prettamente tre: Svezia, Francia e Olanda – spiega Chiara Cavalcanti di Unhcr Tunisia -. Non tutti hanno la possibilità di rientrare nell’ambito dei resettlement. Cerchiamo di dare la precedenza a casi estremamente vulnerabili e dunque alcune domande vengono rigettate. Non è facile neanche per noi. Purtroppo per molti le alternative sono restare in Tunisia (che fa parte della Convenzione di Ginevra, quindi è considerato un Paese di arrivo a tutti gli effetti, ndr) e noi li aiutiamo a trovare lavoro, anche se molti decidono di tornare in Libia. Cerchiamo di dissuaderli, ma non è semplice, sebbene riconosciamo come l’integrazione per loro sia difficile in Tunisia. La protesta all’esterno del nostro centro di Zarzis? Non tutti hanno titolo per ricevere il nostro aiuto, alcuni sono fuori perché le domande di asilo non sono state accettate. Con loro cerchiamo di parlare ogni giorno, ma non sempre loro collaborano”.

C’è poi la questione del supporto economico, il pocket money, somme che vanno da 150 a 250 dinari tunisini (45-75 euro) a persona o a famiglia a seconda del nucleo: “È vero, dal dicembre scorso siamo stati costretti a tagliarli e a eliminarli per qualcuno a causa di un taglio dei fondi al nostro budget. Per chi è uscito dalla nostra protezione dopo alcuni mesi di transito garantiamo 250 dinari per tre mesi, per gli altri abbiamo dovuto ridurre la quota” aggiunge la funzionaria dell’Alto Commissariato per i Rifugiati a Tunisi.

Vedendo come vanno le cose nel Paese nordafricano, paradossalmente hanno qualche chance in più i migranti – che siano richiedenti asilo, rifugiati o irregolari – in cerca di un futuro migliore in Libia. Il Paese guidato per decenni da Muhammar Gheddafi è considerato ‘a rischio’ e quindi evacuazioni (verso i centri Unhcr in Ruanda, Niger e Romania), reinsediamenti e corridoi umanitari sono più frequenti. Ne sanno qualcosa i 99 richiedenti asilo evacuati dalla Libia e trasferiti in Italia nella tarda serata di ieri. I primi a viaggiare dalla Libia verso l’Italia nel 2022 dopo i 90 salvati a novembre 2021. Si tratta di persone estremamente vulnerabili salite a bordo di un aereo a Tripoli e atterrate a Fiumicino. Tra loro bambini, donne a rischio di violenza e persone con patologie sanitarie gravi. Una buona parte di essi è stata salvata dopo lunghi periodi nelle mani delle bande di trafficanti di essere umani all’interno dei centri di detenzioni non ufficiali della Tripolitania. Il volo è stato organizzato in coordinamento tra Unhcr e i nostri Ministeri degli Interni e degli Esteri italiani: “Siamo contenti di vedere in ripresa questi voli di salvataggio grazie alle autorità libiche – sono le parole di Jean-Paul Cavalieri, comandante in capo della missione Unhcr in Libia -. Poniamo la nostra massima fiducia e ci affidiamo alla comunità internazionale alla ricerca di ulteriori percorsi per uscire dall’inferno della Libia”. Dal 2017 a oggi Unhcr ha evacuato o reinsediato 7.864 rifugiati e richiedenti asilo.

Articolo Precedente

Irene sta carina, ovvero come educare al rispetto della naturalezza

next
Articolo Successivo

Ucraina, l’attivista Olena Shevchenko: “Putin è il male. Se prende il controllo le persone Lgbtqi+ sono fra i primi obiettivi”

next