Alla vigilia delle olimpiadi di Pechino, Xi Jinping si è incontrato con Vladimir Putin. E’ stato il primo colloquio dal vivo con un capo di Stato straniero che il leader cinese ha condotto in due anni e mezzo, dallo scoppio del Covid. L’evento è passato quasi inosservato dai media internazionali, ma oggi, alla luce di quanto è successo nell’ultima settimana in Ucraina, l’incontro post-Covid tra i due leader assume un significato non solo simbolico ma anche strategico importante.

Nella dichiarazione congiunta di Xi e Putin si legge l’impegno delle due nazioni a mantenere una politica estera che riconosce alla Cina le pretese su Taiwan e che si oppone all’ulteriore espansione della Nato. Altro punto cruciale la preoccupazione di entrambi per l’alleanza Aukus, che include l’Australia, il Regno Unito e gli Stati Uniti.

Leggendo tra le righe si percepisce l’appoggio di Pechino per la politica di Mosca nei confronti dell’Ucraina. Anche se il linguaggio è meno esplicito di quello relativo alle pretese cinesi su Taiwan, è chiaro che Xi Jinping sostiene il desiderio di Putin di riportare l’Ucraina nella sfera d’influenza russa. Ed infatti durante l’incontro la Cina si è detta disposta ad aiutare la Russia se ci sarà un’altra ondata di sanzioni, come è successo negli ultimi giorni. A tale proposito Xi e Putin hanno discusso anche di affari ripromettendosi di aumentare gli scambi tra le due superpotenze, portandoli a 200 miliardi di dollari, rispetto ai 140 miliardi di dollari raggiunti nel 2021.

La domanda da porsi è se Putin ha fatto partecipe Xi del suo progetto bellico in Ucraina. E’ interessante notare che l’invasione è avvenuta subito dopo la chiusura dei giochi olimpici, un trionfo del soft power cinese. L’intelligence americana, che sicuramente aveva informazioni dettagliate riguardo al piano d’attacco russo, aveva detto che questo poteva avvenire anche prima della fine dei giochi, cosa che avrebbe contrariato Xi. Altro elemento da tenere presente è il silenzio iniziale di Pechino e l’esortazione a negoziare una volta che l’esercito russo è arrivato alle porte di Kiev. E’ chiaro che a questo punto Putin chiederà la spartizione dell’Ucraina.

Non sapremo mai la verità su quello che i due leader si sono detti ma una cosa è certa: Putin e Xi si sono accordati senza dover far approvare nulla a parlamenti o ministri, il loro potere decisionale è assoluto. E questo nel disordine mondiale attuale è il loro punto di forza.
Tempismo, dichiarazioni ed accordi tra Mosca e Pechino sembrano seguire una logica di alleanza a lungo termine diretta a cementare un blocco che a grandi linee ricorda quello comunista della guerra fredda. L’asse Mosca-Pechino canta all’unisono e si contrappone all’occidente democratico dove rimbomba una cacofonia di suoni. Il primo è gestito da due leader a vita, chiamiamoli anche dittatori, il secondo da democrazie in crisi, guidate da politici costantemente in campagna elettorale per essere rieletti.

Esiste una soluzione? Al momento non se ne intravede nessuna anche se i mercati si sono già tranquillizzati all’idea di un incontro che, se mai avverrà, si concluderà positivamente solo se l’Ucraina e l’Occidente accetteranno una spartizione. Forse questo è il vero problema dell’Occidente, il potere dei mercati, la dittatura della ricchezza, del benessere, un’ossessione che ci acceca e che ci porta a commettere errori irreparabili.

Vent’anni fa la Russia era in ginocchio, risorse e ricchezza saccheggiate dagli oligarchi che l’Occidente ha accolto a braccia aperte, intanto Putin e la sua squadra lavoravano sottotraccia per ricreare l’equilibrio del regime sovietico. L’Occidente avrebbe potuto favorire il processo democratico ed invece ha pensato solo ai soldi che, come fiumi, scorrevano nel suo sistema finanziario. A quanto pare oggi ci è arrivato il conto di quella bonanza.

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