La richiesta inedita e piuttosto insolita è quella che l’udienza preliminare, che è sempre a porte chiuse, possa essere pubblica. Non si tratta di una udienza preliminare qualsiasi ma quella che giovedì 3 febbraio vedrà due magistrati imputati per rivelazione di segreto d’ufficio ovvero l’ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo (già pm a Milano) e il pubblico ministero di Milano Paolo Storari per il caso dei verbali di Piero Amara, l’ex legale esterno di Eni condannato per corruzione in atti giudiziari e indagato da diverse procure. A chiedere al giudice per l’udienza preliminare, Federica Brugnara, la pubblicità dell’udienza, sulla scorta della giurisprudenza Cedu, sarà Davigo con il suo legale, Francesco Borasi. Come è stato riferito, la mossa, quasi inedita, punta a garantire il giusto processo, come sancito dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Sia Davigo che Storari sono pronti a farsi interrogare in aula.

Qualora il giudice dovesse accogliere l’istanza, la bufera che la scorsa estate ha investito la magistratura milanese e italiana, e che è nata dalle dichiarazioni di Amara su una presunta loggia Ungheria (su cui indaga la procura di Perugia), avrebbe un carattere di pubblicità maggiore di quanto è accaduto finora. Davigo è pronto a farsi interrogare per ribadire la sua linea: nessun illecito e nessuna violazione del regolamento a cui sono tenuti i componenti del Consiglio superiore della magistratura. Anche Storari darà la sua versione dei fatti e spiegherà i motivi per cui nell’aprile di due anni fa consegnò quei verbali a Davigo: voleva essere tutelato in quanto, a suo dire, i vertici della Procura milanese non gli avevano consentito iniziative istruttorie tempestive e adeguate alla gravità delle parole dell’avvocato siciliano. I verbali successivamente arrivarono in forma anonima a giornalisti e magistrati innescando quindi l’inchiesta che a Roma ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati dell’ex segretaria di Davigo, Marcella Contraffatto.

Il pm parlerà delle divergenze con i suoi capi e della necessità di rivolgersi al Consiglio Superiore della Magistratura perché, secondo lui, si volevano ritardare le indagini su Amara per preservarlo come teste-imputato di reato connesso nel processo Eni-Nigeria finito, poi, con l’assoluzione di tutti. Affermazioni, già resa in precedenti interrogatori, che ha documentato anche con una relazione scritta dall’aggiunto Laura Pedio e a lui inoltrata per un parere il 23 aprile 2020. Pedio, accogliendo la richiesta di un paio di settimane prima, avanzata sempre via mail dal difensore di Amara in vista dell’udienza davanti alla Sorveglianza di Roma per ottenere l’affidamento in prova ai servizi sociali, aveva messo nero su bianco che il legale siciliano aveva avuto un “atteggiamento collaborativo” e tagliato i legami con “ambienti criminali e deviati”.

Al giudice sarà prodotto anche il decreto di archiviazione, nei confronti dell’ex procuratore di Milano Francesco Greco, in cui il gip ha sottolineato che non ci fu inerzia da parte della procura di Milano e che le accuse nei confronti di Greco sono infondate. Il giudice, che ha specificato come “di fronte a tali evidenti esigenze istruttorie, non può certo affermarsi che l’ufficio requirente milanese sia rimasto inerte”, ha osservato che “contrariamente a quanto sostenuto, in via solitaria e con sbrigativa sicurezza, nell’interrogatorio dello scorso luglio dall’ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo, a cui Storari si era rivolto e aveva consegnato quei verbali per autotuelarsi, “tale era la consistenza dell’impegno richiesto dal vaglio critico” delle affermazioni di Amara, ritenute ancora nell’aprile dell’anno scorso, “meri elementi di sospetto, da valutare peraltro con un approccio ispirato da massima prudenza”.

L’intera vicenda dei verbali, collegati indirettamente anche al processo Eni Nigeria, ha dato origine in totale a tre procedimenti penali a Brescia: oltre alla richiesta di rinvio a giudizi per Storari e Davigo, c’è l’inchiesta in corso sull’aggiunto Fabio De Pasquale e il pm Sergio Spadaro (titolari dell’accusa nel processo al colosso petrolifero che ha visto tutti gli imputati assolti) ed è indagata anche l’aggiunto Laura Pedio, titolare del fascicolo ‘falso complotto’, a cui viene contestata, tra l’altro, la gestione di Vincenzo Armanna, grande accusatore dei vertici Eni.

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