L’autorità e il ricorso al potere e alla forza della gerarchia, ancora oggi, non sembrano definitivamente archiviate nel mondo professionale. Addirittura nel mondo delle piccole imprese molti imprenditori considerano l’autorità il solo strumento utile per modificare il comportamento delle altre persone.

Sembra quasi che quelle strutture organizzative siano state create dalla proprietà con la mente fissa sull’autorità. Realizzano organizzazioni a forma di piramide molto schiacciata (considerate le dimensioni) perché questa forma rende più facile l’esercizio dell’autorità.

Mi è capitato spesso di chiedere ad un piccolo imprenditore (che, ricordiamo, molto spesso è anche capo diretto dei suoi collaboratori) se l’autorità gli è utile. La gran parte degli interpellati dichiara che nella sua azienda raramente si fa ricorso a dinamiche decisionali autoritarie e gerarchiche, mentre considera molto più importanti aspetti come l’autorevolezza e la leadership.

Chiacchiere.

Al di là di queste parole che assumono solo una valenza politically correct, nei fatti il fascino dell’autorità non è così in declino: se, infatti, nelle people survey, chiedo poi a chi “subisce” il potere gerarchico se il ricorso all’autorità sia un fenomeno raro, mi ritrovo quasi sempre di fronte ad un plebiscito sulla falsità di quell’affermazione.

Quando poi sottopongo all’imprenditore le risposte (ovviamente anonime) di queste indagini, ricevo sistematicamente repliche pronte e ragionevoli: “l’autorità è senz’altro utile perché, in questo tipo di organizzazioni, è un meccanismo di coordinamento e di controllo. Si deve far lavorare le persone entro orari stabiliti, esse devono passare una certa parte del tempo lavorando, e non chiacchierando o perdendosi in cose inutili. E se l’autorità viene usata come strumento per influenzare il comportamento, non lo si fa per gioco, ma per il bene dell’organizzazione”.

Altra mezza bugia.

Perché se fino a venti anni fa, in un mondo professionale meno complesso e competitivo, si ricorreva all’autorità per il bene dell’organizzazione, oggi, molto più spesso nelle piccole realtà, si ricorre alla forza e al potere della gerarchia più per il bene di chi la esercita che dell’impresa in sé. E in questo caso un eccesso di ordine e controllo rappresenta un freno alla creatività e alla flessibilità operativa che stanno alla base della happycracy e dell’efficienza produttiva.

Dal mio personale osservatorio rilevo molto frequentemente che le piccole imprese, in maniera molto più marcata rispetto alle grandi imprese, sono luoghi nei quali le persone non possono fare quello che vogliono, dove si richiede alle persone di sottomettersi a certe regole restrittive e a certi schemi.

E’ vero che se le persone venissero al lavoro quando pare a loro o facessero sempre quello che vorrebbero fare, nessuna azienda potrebbe sopravvivere. Secondo questo punto di vista, che è assolutamente ragionevole, l’autorità è sicuramente uno strumento per limitare il comportamento (anche se questo crea frustrazione) e per mantenere l’ordine. Ma quando l’autorità rappresenta l’unico mezzo per assicurare l’omogeneità necessaria livellando le prestazioni individuali, allora vuol dire che stiamo pensando che le altre persone siano così sprovvedute e così ingenue da non capire altro che l’uso diretto dell’autorità, o così pigre da non potere andare avanti senza una spinta. E’ ciò che capita all’ufficiale dell’esercito che dà ordini perché le truppe non possono o non vogliono prendere decisioni proprie.

Se, invece, stiamo pensando che – un presupposto che più raramente sta alla base dell’uso dell’autorità nelle piccole imprese – il collaboratore veda il mondo come lo vede il piccolo imprenditore e che quindi consideri il suo uso dell’autorità ragionevole e legittimo, allora in questo caso chi “subisce” l’autorità non è affatto stupido, anzi può essere tanto intelligente da riconoscere la necessità di un’autorità legittima in determinate situazioni. In questo secondo caso l’ufficiale dell’esercito dà ordini perché la situazione richiede un unico centro di controllo e perché il ruolo dell’ufficiale è legittimo e necessario.

Per concludere, un consiglio a coloro che rappresentano il 90% del tessuto imprenditoriale del paese, i piccoli imprenditori: le vostre imprese devono abbandonare la loro dipendenza da un’unica mente che procede in solitudine e autonomia, e cercare di ampliare, in un mondo che cambia a velocità crescente sulla spinta della digital disruption, la sfera di influenza di tutti collaboratori.

Perché se a voi viene richiesto di essere strateghi, esecutori, localisti dalla mentalità globale e innovatori amanti della tradizione, attenti osservatori degli eventi politici mondiali e leader dalla spiccata sensibilità, per tutto questo una laurea o un master, ma forse neppure una vita intera, non bastano. C’è bisogno degli altri.

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