di Franco Failli

Qualche giorno fa un ragazzo è morto mentre era in una azienda, a fare quella che la riforma della “buona scuola” chiama alternanza scuola lavoro. La vicenda è tragica, ovviamente, e parlarne non è facile, anche se si deve farlo per evitare di dimenticare troppo velocemente, come ormai è diventato usuale.

Ho visto che è proprio l’alternanza scuola lavoro che molti stanno mettendo sotto accusa. Si tratta in pratica di 400 ore degli ultimi anni, per gli istituti tecnici e professionali, che passano a 200 nei licei, che gli studenti devono passare in luoghi di lavoro, a lavorare, o almeno a provarci. L’idea è che così sarà più facile per gli studenti trovare poi una occupazione. Come se mancassero lavoratori e non fosse, invece, l’offerta di lavoro ad essere diminuita a causa dei mutamenti economici e tecnologici.

Il concetto non è nuovo, e se magari per gli istituti professionali potrebbe anche avere scopi davvero formativi, di ragioni per le quali deplorare l’introduzione generalizzata di questa attività all’interno della scuola ce ne sono parecchie.

Non possiamo comunque limitarci a questo. Quel ragazzo sarebbe potuto essere lì anche per altri motivi: in gita di istruzione, a fare una ricerca di approfondimento assegnata da un docente… sarebbe anche potuto non essere uno studente di scuola superiore, ma un universitario che stava sviluppando la sua tesi di laurea in ambito aziendale oppure, infine, sarebbe potuto anche non essere uno studente. Poteva essere chiunque.

La questione, oscurata dall’età e dal ruolo di quel ragazzo, è che c’è stato un ennesimo incidente mortale in un ambiente dove si lavorava. Abbiamo visto che una volta ancora non hanno funzionato le norme di sicurezza, o non è stata applicata la necessaria sorveglianza, o non c’è stata una efficace formazione, o tutte queste cose insieme. Ma quel che è certo è che non sono state prese le necessarie precauzioni. Il giorno successivo alla morte di quel ragazzo in provincia di Udine, un’altra persona è morta lavorando a Lorica, in provincia di Cosenza. La sua morte non ha fatto gran che notizia. Leggo sul sito www.tecnicadellascuola.it che: “La pratica dell’alternanza scuola lavoro va rivista. Non possiamo pensare di esporre i nostri studenti allo sfruttamento, o peggio a incidenti”. Giusto. Aggiungerei però che nemmeno i lavoratori dovrebbero essere esposti a sfruttamento e a incidenti, o almeno non dovrebbero esserlo con rischi così elevati da essere facilmente definibili come intollerabili.

Certo che non dobbiamo mandare i nostri ragazzi in posti pericolosi, specie quando invece dovrebbero stare a scuola a studiare. Ma anche mandarci qualcun altro, solo per il fatto che ormai è adulto, non mi pare una buona idea.

E se dovesse essere deciso che nemmeno l’alternanza scuola lavoro è una buona idea, sarebbe bene tenere le cose ben separate, chiarendo che non la si abolisce per preservare i ragazzi dagli incidenti e magari anche dallo sfruttamento, ma perché i ragazzi devono apprendere per diventare adulti maturi e istruiti, cosa che, sottraendo tempo allo studio, diventa più difficile. Altrimenti i nostri nonni e bisnonni che a sedici anni avevano i calli alle mani avrebbero avuto tutti una laurea ad honorem e sarebbero stati filosofi e scienziati. Invece erano spesso dei poveracci abbastanza ignoranti. Anche se non erano tanto ignoranti da non capire quale fosse la vera convenienza per i propri figli e nipoti.

Noi invece evidentemente siamo diventati più ignoranti di loro dato che ce lo siamo dimenticato e accettiamo senza fiatare che i nostri ragazzi studino di meno andando magari anche a rischiare la vita in un mondo del lavoro che è tornato ad essere quello di cento anni fa. Abbiamo sbagliato strada. Riconosciamolo, facciamo dietrofront e ritorniamo all’ultimo bivio.

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