di Pietro Francesco Maria De Sarlo

Probabilmente, la politica italiana riuscirà a superare l’impasse delle elezioni presidenziali con l’ennesima torsione e giravolta istituzionale. Il ceto politico brilla nella tattica e nei tatticismi; è sempre riuscito in qualche modo a superare la nottata, ma sulla prospettiva strategica e sulla visione di lungo periodo ha ogni volta mostrato scarso interesse e propensione.

Sul metro della tattica va bene tutto, da Draghi a Berlusconi, purché garantisca il superamento del contingente. Ma proprio nel “va bene tutto” si perde visione, identità e senso del futuro e del ruolo che un grande Paese dovrebbe avere. Forse per un eccesso di pessimismo, mi pare che dopo le elezioni del nuovo Presidente non rimarranno che macerie, comunque vada.

Se Draghi andrà al Colle, con buona pace di quelli che pensano che sia la soluzione di stabilizzazione di lungo periodo, il governo che nascerà non avrà vita facile e lunga; e meno che mai potrà dare senso, prospettiva ed orientamento al Paese. Per non parlare dei rischi per la democrazia di una Repubblica presidenziale di fatto.

L’uomo Draghi, visto all’opera da capo del governo, ha mostrato un piglio autoritario fuori dal comune. Ha bacchettato ministri, non solo quelli tecnici ma anche quelli che lo sono perché rappresentano milioni di elettori, a volte umiliandoli, e ha mal sopportato il ruolo di quei pochi giornalisti che si sentono ancora liberi di criticarlo e fare domande.

Non ha mostrato, a parte dichiarazioni di forma, alcun rispetto per il ruolo del parlamento. La Finanziaria è stata approvata senza che i deputati abbiano avuto tempo di leggerla e senza il parere della commissione finanza. Il suo stile è quello di cercare l’appoggio di capibastone, siano Grillo Di Maio o Giorgetti, che cerca di condizionare e forzare. Non è chiaro a quali interessi risponda. Non ha mai espresso una visione politica della società, mi pare più interessato a salvaguardare equilibri consolidati, oltralpe e no. Con il “whatever it takes” ha mostrato di cosa è capace pur di salvare le banche e l’euro. Grecia e aumento delle povertà nell’Europa del sud lo testimoniano. È tutto da dimostrare che abbia mai difeso l’interesse nazionale.

Di Giuseppe Conte ricordo come abbia costretto l’Europa a varare il Next Generation EU, tenendo inchiodati i leader per 5 giorni, e come abbia puntato i piedi sulla questione delle quote di immigrati. Qualcuno ricorda una presa di posizione forte a difesa del Paese di Draghi su qualsiasi tema? Io no. Sospetto è il continuo endorsement dei potentati stranieri. Hanno veramente così a cuore le sorti del Bel Paese?

Se non andrà al Colle mi pare che l’esperienza del suo governo sia finita. È finita perché l’azione del governo Draghi, dopo solo undici mesi, è già in visibile affanno e priva di respiro. Lo dimostrano i continui litigi (sacrosanti in una democrazia dove si devono mediare legittimi interessi spesso contrapposti) e la sempre più nervosa e appannata capacità di fare sintesi del premier. Siamo onesti se non ci fossero le elezioni presidenziali il governo sarebbe durato ancora pochi mesi.

Spericolato, e ai limiti del rispetto della Costituzione, è legare la questione del governo e dell’elezione del presidente perché porrebbe dei limiti al mandato del nuovo presidente che si troverebbe a dover sostenere un governo preconfezionato e di cui si dovrebbe fare garante per essere stato votato. Fa poi specie, e testimonia la confusione sulla identità dei partiti, la volontà di Letta di sostenere Draghi whatever it takes.

Forse perché continuo a pensare che liberismo in economia e sinistra in politica siano un ossimoro, mi chiedo cosa ha a che fare Draghi con la sinistra. E, soprattutto, cosa ha a che fare con il 33% dell’elettorato che nel 2018 votò il M5S? Basandosi sul ricatto delle elezioni anticipate il Sistema ha snaturato il senso del voto del 2018. Ma il ricatto è squallido e visibile e allontana sempre più e pericolosamente cittadini ed elettori dalla politica.

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