La partita per la nomina del Presidente della Repubblica blocca i progetti per Tim. Così mentre Silvio Berlusconi punta alla massima carica dello Stato e Mediaset tenta di espugnare il mercato francese acquistando alcuni asset di M6, il governo prende tempo sul futuro dell’ex monopolista pubblico delle telecomunicazioni. Con buona pace degli investitori che hanno visto il titolo scivolare da inizio anno di quasi il dieci per cento e del Paese che attende una nuova infrastruttura di rete da tempo.

Uscito di scena Luigi Gubitosi, il nuovo amministratore delegato Pietro Labriola sembra intenzionato a portare avanti il progetto di divisione della rete dai servizi di telefonia. Il progetto dovrebbe andare avanti con l’appoggio del socio francese Vivendi, azionista anche di Mediaset, cioè della tv della famiglia Berlusconi. Di qui l’impasse sul futuro dell’ex monopolista. Almeno finché non sarà chiaro chi sarà il futuro inquilino del Quirinale. E se ci sarà un impatto sull’attuale assetto di governo. Del resto l’offerta pubblica di acquisto del fondo Kkr non è mai stata formalizzata.

Intanto Labriola ha spiegato che il suo “obiettivo è far esprimere all’intero Gruppo il suo potenziale, valorizzando gli asset nell’interesse di tutti gli azionisti” e che le “sfide e le opportunità che abbiamo davanti richiedono coesione da parte di tutti gli stakeholder”. Detta in maniera più chiara, il manager ha già pianificato di dividere Tim in due pezzi: da un lato ci saranno le infrastrutture con la rete più i servizi di sicurezza e cybersecurity di Telsy e i cavi di Sparkle, dall’altro i servizi di telefonia, inclusa la filiale brasiliana, la tv Tim Vision e il cloud di Noovle.

In questo modo, tutte le attività strategiche finirebbero in un’unica azienda su cui lo Stato potrebbe esercitare i poteri speciali, il cosiddetto golden power. Il problema è che Labriola vorrebbe accollare alla società della rete il grosso dei debiti di Tim: secondo il Messaggero potrebbero confluire nella società ben 10 dei 18 miliardi di debiti che pesano su Tim. Anche perché è proprio la rete ad essere a garanzia dell’elevato debito contratto dall’ex monopolista. Inoltre, nella società dell’infrastruttura dovrebbe confluire anche buona parte dei dipendenti dell’ex monopolista pubblico. Su questo punto però la trattativa con i sindacati è ancora al palo. Con le organizzazioni di categoria assolutamente contrarie all’ipotesi spezzatino.

Intanto l’Autorità di vigilanza sulle telecomunicazioni ha dato l’ok alla proposta di coinvestimento della Fibercop di Tim agli altri operatori, sia pure con il parere contrario del commissario Elisa Giomi. Ma le polemiche non si arrestano. Per gli operatori, infatti, la condivisione degli investimenti dovrebbe riguardare solo la fibra dando la possibilità a tutti di decidere dove e come sviluppare la rete. La proposta avanzata da Tim, sempre secondo le altre compagnie, sarebbe invece solo una sorta di proposta commerciale senza dei veri obblighi vincolanti.

Nel dettaglio, secondo Vodafone “non sussistono adeguate garanzie di autonomia e di indipendenza finanziaria di Fibercop, ovvero il veicolo attraverso il quale si realizza il suddetto coinvestimento, tenuto conto che Tim mantiene una quota di controllo del 58%, nomina l’amministratore delegato e il capo dei tecnici previo consenso di Kkr, il responsabile della divisione Antitrust and Regulation nonché 5 membri del consiglio, cioè la maggioranza rispetto ai 9 membri”. Motivo per cui l’opzione non rispetterebbe il dettame del Codice europeo delle telecomunicazioni.

La confusione insomma è ancora massima. Persino nell’autorità di vigilanza il cui consiglio deve essere integrato con una nuova nomina dopo la premature scomparsa del consigliere Enrico Mandelli, in quota Lega. Gli investimenti nella banda larga non possono però attendere ancora a lungo. Stanno peraltro anche arrivando i fondi del Piano di ripresa e resilienza: 3,8 miliardi di euro che serviranno a svecchiare la rete di telecomunicazioni del Paese. Ma serve un governo con le idee chiare se non si vuol correre il rischio di duplicare le reti buttando via parte delle risorse disponibili. Senza chiarire il ruolo di Cdp, socio sia di Tim che della rivale Open Fiber.

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