di Carmelo Sant’Angelo

Passata è la tempesta: odo ministri far festa, e Brunetta, tornato in su la via, che ripete il suo verso: “siamo i migliori”. Istintivamente rivolgo il mio sguardo a ponente, ma Sua Finanza Serenissima non irrompe, ed il mio cor si rallegra.

Il quinto decreto in 40 giorni; lunghe file per i tamponi; nessuna apertura sullo smart working; delle misure di sostegno nemmeno l’ombra; tasso di positività schizzato al 17,3%; un crescendo rossiniano di restrizioni; quarantene fai-da-te; dirigenti scolastici sull’orlo di una crisi di nervi; dipendenti pubblici sospesi senza stipendio – che dovrebbe “assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36 Cost.) – e il premier ritiene che il popolo non meriti alcuna spiegazione. Abbandona i tre ministri sull’uscio di casa e si eclissa. Nessun testo scritto, nessuna domanda dei giornalisti, che hanno pazientemente atteso la fine del consiglio dei ministri. I cittadini, confusi da questa ridda di prescrizioni, che gli sono piovute addosso, colpendoli fin sotto al vischio, attendono di capire cosa cambierà. Tirano un sospiro di sollievo apprendendo che molte prescrizioni saranno effettive dal prossimo 15 febbraio. Avranno tempo di studiarle su WhatsApp!

Per quanto grande possa essere la pazienza non potrà mai sfiorare la serenità olimpica di colui che è proteso verso l’alto, in un perenne cammino di ascensione. “Se non riesci a capirlo senza una spiegazione, non puoi capirlo con una spiegazione” scrive lo scrittore Haruki Murakami. Ma bisognerebbe avere anche gli occhi a mandorla per poter comprendere quale sia la strategia del governo. Forse si pretende troppo parlando di “strategia”, atteso che l’orizzonte della politica arriva sino al 24 gennaio. Un vero spartiacque: avanti Draghi e dopo Draghi. In questa partita i cittadini non contano, non esprimono il loro voto e, dunque, perché mai perdere tempo con loro? Meglio sondare gli umori dei partiti e annusare i miasmi che provengono dal magma composito del gruppo misto.

Eppure le persone avrebbero bisogno di fidarsi e di essere rassicurate. Non si possono lasciare in ostaggio dei loro dubbi; tra i tormenti degli anatemi dei no-vax o tra le fiamme delle scomuniche dei sì-vax. Metterci la faccia dovrebbe essere un imperativo morale, oltre che un segno di affidabilità. Assumersi la paternità delle norme che si emanano significa: dimostrare sicurezza sul proprio operato; confidare sulla bontà delle soluzioni proposte; indicare con determinazione il percorso tracciato; affermare che la strada, anche se piena di perigli, condurrà alla vittoria; assumersi il coraggio di rischiare, spiegando i motivi dell’assunzione di tale rischio; difendere e sostenere le proprie norme in vista di un bene collettivo.

A tutte queste responsabilità il premier si è, ancora una volta, sottratto, nonostante il consenso bulgaro di cui gode (norme “approvate ad unanimità”) e di una folta claque tra i giornalisti, che lo salutano con la faccia sotto i suoi piedi, senza chiedergli nemmeno di stare fermo, può muoversi! Ma solo per mostrare, al novello santissimo Savonarola, che sono delle “personcine per bene che non farebbero male nemmeno a una mosca”.

Il premier ha abdicato dal proprio ruolo di guida o, come dice ancora qualche eretico, ha rinunciato a spiegare gli atti compiuti in veste di “dipendente pubblico”. Gli aruspici da questo atteggiamento reticente ne trarranno indizi per l’interpretazione dei prodigi. Per noi che viviamo, più umilmente, nell’era dopo Cristo sappiamo che la pericope del “buon pastore” ammonisce i pastori che “pascono se stessi” poiché per la loro condotta “le pecore si sono disperse e son preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate”.

Il pastore che per egocentrismo mostra incuria del proprio gregge sarà sostituito dalla guida dello stesso. Ma questo solo nella profezia di Ezechiele, perché sulla sponda secolare del Tevere il cattivo pastore ambisce a guidare il gregge per sette lunghi anni.

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