Ogni quattro anni, con le estati olimpiche a riempire giornali ed esultanze, spunta qualche atleta che dal semi anonimato passa alla gloria. Questione di minuti: di prestazioni più o meno perfette che valgono le medaglie ai Giochi e l’ingresso nella ristretta categoria degli sportivi che ce l’hanno fatta. Di solito succede nelle discipline minori, definite così a causa dell’insopportabile vizio di pesare l’importanza di uno sport in base al seguito di pubblico. Ma tant’è. Non è questo il punto. Fatto sta che da essere nessuno, diventi un Dio. Per qualche giorno. E approfitti della ribalta mediatica. E ripensi a tutti i sacrifici fatti. E partono i ringraziamenti. Fateci caso: il primo grazie di solito è per “il mio maestro, quello che ha creduto in me e mi ha spinto a continuare nonostante le difficoltà”. Ecco: i primi maestri, quelli che insegnano sport, che crescono uomini e donne per farli diventare campioni. Vogliamo raccontarli così: capire il loro modo di intendere la competizione, scoprire i loro metodi, conoscere i loro aneddoti, sapere da chi hanno imparato. Ci saranno maestri noti e meno noti, espressione di discipline con grande o poco seguito. Unico comune denominatore: loro sono lo sport che insegnano e che hanno contribuito a migliorare. (Pi.Gi.Ci.)

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“Il bravo allenatore sa tirare fuori il talento dal suo allievo e soprattutto lo rende autonomo nel pensare con la propria testa. Un coach deve trasferire passione e grinta, facendo crescere i ragazzi anche umanamente. Apprezzo molto che le mie ragazze leggano libri e non stiano tutto il giorno attaccate al telefonino. Non diventi un campione se prima non lavori su te stesso. Io parecchie cose le ho capite in campo, relazionandomi con grandi campioni come per esempio Federer e Djokovic, persone molto umili che ti parlano serenamente come se ti fossero amici da sempre e in pochi minuti riescono a darti tanto”.

Tathiana Garbin, capitano di Fed Cup dall’ottobre del 2016. Ha preso in mano la squadra delle azzurre dopo i grandi successi (quattro vittorie in coppa) ottenuti sotto la guida Corrado Barazzutti. È stato complicato?
“Per me è stata una bella sfida, le big azzurre avevano vinto tanto e stavano pian piano chiudendo con la Nazionale. Forse era il momento peggiore per subentrare. Ma io sono arrivata a questo ruolo dopo parecchia gavetta in Federazione, dove sono dal 2011, da quando ho smesso di giocare: primo di diventare capitano, ho allenato l’under 14, l’under 16, l’under 18 e l’over 18”.

Come è stato il rapporto con chi l’ha preceduta?
“Barazzutti è stato molto disponibile. Mi aveva avuto anche come giocatrice, nel 2006 ho assistito alla finale vincente dalla tribuna e poi avrei indossato ancora la maglia dell’Italia. Mi ha sostenuto dopo la mia nomina, accompagnandomi in alcune trasferte durante il primo anno. Da lui ho cercato di prendere la dedizione al lavoro e l’umiltà”.

La prima convocazione azzurra da giocatrice le era arrivata già con Raffaella Reggi. Per un’atleta essere allenata da una donna è un vantaggio?
“La Reggi ha creduto in me per prima, quand’ero piccolina. Un’ex giocatrice sa riconoscere determinate emozioni dentro al campo”.

A lei un giorno piacerebbe allenare gli uomini?
“Sì, sarebbe un modo per chiudere il cerchio. Allenare significa spogliarsi delle proprie vesti, avere l’umiltà di fare un passo indietro e uscire dal protagonismo intrinseco del giocatore. Ogni giorno s’impara qualcosa. Io studio il tennis, i cambiamenti di gioco dei vari tennisti. Ho un amore infinito per questo sport e per me è ancora un divertimento. Tutto è iniziato quando avevo tre anni. Papà era ossessionato dallo sport, anche sci e ciclismo non solo tennis”.

Un maestro che ha avuto e vuole citare?
“Un tecnico molto bravo a preparare le partite è Giovanni Marra, con cui c’è sempre stato un buon feeling. C’era lui al mio fianco nel mio periodo migliore, nel 2007 sono arrivata 22esima al mondo e con l’Italia ho raggiunto la finale di Fed Cup”.

Com’era Tathiana Garbin da giovane tennista?
“A livello Juniores non ero certamente la migliore. Quindi ho iniziato a lottare già da subito con perseveranza e grinta”.

Nel 2004 ha sconfitto al secondo turno del Roland Garros Justine Henin, prima italiana nella storia a battere la numero uno.
“Un paio d’anni dopo la Schiavone ha battuto in Fed Cup la Mauresmo. La mia è stata sicuramente una spinta decisiva. La sana competizione tra le atlete italiane è stata fondamentale per la generazione d’oro femminile così come lo è oggi per gli uomini”.

Nel 1999 a 22 anni fece una sorta di Erasmus tennistico. Perché questa scelta?
“Ho preso la racchetta e ho fatto il giro del mondo, due mesi e mezzo da sola a giocare tornei nei posti più difficili e sperduti. India, Filippine, Tailandia… ho tirato fuori il carattere. L’ultima partita di questa mia avventura l’ho disputata a New Delhi, dove i bambini per strada sorridevano nonostante vivessero in pessime condizioni. Sono esperienze che ti cambiano il modo di vivere la vita. Da quel viaggio sono tornata a casa solo con le racchette, ho lasciato lì tutto, anche la borsa. Il tennis solitamente regala comodità, gli hotel sono confortevoli e gli spostamenti privilegiati. Se vuoi puoi costruirti la carriera, giocando sempre e solo in Italia. Io invece avevo voglia di vivere qualcosa di diverso. Sono andata via senza allenatori, in quei posti non è neanche così facile far venire qualcuno con te”.

È stata attenta anche a quello che succedeva fuori dal campo?
“Sì, e oggi consiglio sempre ai ragazzi di viaggiare per conoscere il mondo. Si capiscono molte più cose, anche di tennis. Tra l’altro in quei mesi all’estero ho ottenuto pure buoni risultati tennistici, chiudendo la trasferta intorno all’ottantesima posizione al mondo”.

Quale è stato il suo momento più difficile da giocatrice?
“Nell’ottobre del 2000, numero 42 al mondo, ho subito un’operazione alla tiroide. Quel periodo l’ho superato anche grazie all’esperienza dell’anno prima che mi aveva maturato”.

Naomi Osaka al Roland Garros 2021 ha dichiarato di soffrire di ansia e depressione. Può essere fatto qualcosa in più per aiutare chi va in difficoltà?
“Deve esserci un’educazione psicologica. Le ragazze non possono più arrivare ad un livello così alto senza un supporto adeguato a sostenere la pressione. C’è il rischio di arrivare presto al successo e non avere le spalle larghe per sopportare tutto ciò che quel mondo dà, anche per colpa dei social e dei media”.

Come sarà il futuro del tennis femminile azzurro?
“Barazzutti aveva l’imbarazzo della scelta, molte giocatrici potevano alternarsi tra di loro senza problemi. Oggi stiamo costruendo una bella squadra. All’inizio avevamo un carico di responsabilità non indifferente dovendo sostituire un team super vincente”.

Camila Giorgi dove può arrivare?
“Sarà importantissimo per lei riconfermare il 2021. Quest’anno ha vinto un torneo Wta 1000 e anche alle olimpiadi a Tokyo ha giocato partite di livello altissimo. Sarà un 2022 non facile, anche per via dei punti da difendere. Ma lei deve puntare ad arrivare tra le prime dieci”.

L’altra singolarista è Jasmine Paolini.
“Sul finire dell’anno ha giocato un gran tennis sia su terra che su veloce. Lei si sente più sicura sulla terra, ma è brava dappertutto”.

E il doppio è competitivo?
“Sì, Paolini e Trevisan giocano bene anche in doppio. L’anno prossimo proveranno più spesso a giocare insieme nei tornei. Tornerà utile alla Nazionale”.

La WTA intanto ha sospeso tutti i tornei in Cina ed a Hong Kong: da parecchi giorni ormai non si hanno notizie chiare sull’ex tennista Peng Shuai che ha accusato l’ex vicepremier cinese Zhang Gaoli di violenza sessuale. Che ne pensa di questa decisione?
“Conosco benissimo la ragazza dagli inizi della sua carriera, ci ho giocato contro parecchie volte. Sono sconvolta per quello che le è successo. Penso che la WTA abbia fatto una scelta giustissima e molto coraggiosa. Condivido assolutamente questa linea. Alcuni tennisti si sono già espressi a titolo personale, ora spero che anche l’Atp faccia qualcosa”.

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