Sarà ‘rafforzato’ anche per sciare o solo per bere la cioccolata calda nella baita? L’industria dello sci, a partire dal potentissimo consorzio delle Dolomiti, è alle prese con lo slalom tra i paletti delle nuove regole relative ai Green Pass: ci si chiede se tra qualche giorno si potranno vendere i biglietti di risalita anche a chi mostra i risultati di un tampone negativo, e pure se i non vaccinati e non guariti dovranno restare rigidamente esclusi da bar e ristoranti sulle piste (nonché dalle toilette). Le tante micro zone rosse nelle località di montagna fanno pensare al peggio. Se la vedono grigia in Val Gardena e sotto l’Alpe di Siusi, nell’Alto Adige dove già si scia, come a Plan de Corones: le forze di polizia devono scendere in campo con un insolito rigore svizzero (a Brunico, per esempio, un bar ha avuto guai per non aver controllato tutti i green pass dei dipendenti), per salvaguardare quel che resta di ‘bianco’ anche sulle cartine epidemiche, quando peraltro nella versione europea pongono già in rosso scuro l’intera provincia autonoma di Bolzano.

La classe dirigente si dibatte tra l’interpretazione psico-sociologica dell’ostinata ribellione no-vax di una parte della popolazione, sventolando un termine da qualche anno tanto abusato quanto vago (il risentimento), e la giustificazione storico-culturale. Qualcuno, a partire dal governatore Arno Kompatscher, trova abbastanza logico cioè che ci siano negazionisti del Covid in valli come la Passiria, sopra Merano, dove la rivolta autonomista è di casa da secoli, e dove è ancora ben vivo il mito tradizionalista di Andreas Hofer, che guidò la rivolta anti-francese in nome del Sacro Cuore di Gesù e del ripudio delle riforme napoleoniche, compresa la prima vaccinazione obbligatoria, che debellò il vaiolo da mezza Europa. Ma proprio queste considerazioni apparentemente così valide del benpensare comune mostrano di non reggere se si pensa che tra i renitenti alla leva obbligatoria del vaccino ci sono anche medici e professori universitari certo non assimilabili, per censo ed estrazione culturale, ai risentiti e agli ignoranti di ritorno. Viene dal mondo accademico (che, in fondo, affascina persino alcuni osservatori internazionali sofisticati) la stessa pungente definizione dell’Italia di oggi come una sorta di ‘Draghistan’, Paese retto dal regime soft, compassato e ‘green-passato’ di un tecnocrate.

Eppure non si riescono a comprendere le ragioni del dissenso contro la gestione della pandemia e del green pass nella stessa sinistra, ormai più attenta ai diritti civili che all’eguaglianza: va bene persino la deregulation antropologica dei generi, ma la difesa delle soggettività si arresta per i virus con la C maiuscola? Vi è poi un problema di contenuti dato che, esattamente all’opposto di ogni luogo comune sull’ignoranza, tanti ribelli si caricano a molla in nome e per conto di quel che si considera invece un’acquisizione di conoscenze alternativa e anticonformista. In sostanza, tra i no-pass si ritrovano non solo gli intellettuali che continuano a compulsare le pagine di Foucault e a sentirsi ancora dalla parte di Nietzsche, ma anche (come suggerisce Gabriele De Luca) tanti che si presentano con una sorta di rivisitazione da mondo digitale del celebre j’accuse dell’ultimo Pasolini Cos’è questo golpe? Io so, pubblicato nientemeno che sul Corriere della Sera il 14 novembre 1974, quando il nostro intellettuale più famoso aveva ormai la testa dentro al magmatico progetto di Petrolio, un grandioso retroscena di duemila pagine, ovvero il romanzo del potere italiano.

Ecco, io non so che cosa ci sia dietro, ma noto che in tanti, troppi, della classe dirigente vogliono invece far finta di niente: pensare che con tre o quattro punturine tutto possa continuare ad andare avanti come prima, invece di fare i conti con la realtà e di cominciare a ridisegnare quel modello di società già incrinato pre Covid-19, a cominciare proprio dal turismo di massa, che fa ripartire ogni volta puntualmente la pandemia.

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