Mick Rock, il grande fotografo inglese scomparso da pochi giorni, aveva fatto la rivoluzione. L’ha fatta non con le armi ma con la sua macchina fotografia. Tra l’altro, è tutto da dimostrare che una rivoluzione fosse nei suoi intenti, ma di fatto egli l’ha prodotta nel costume, nella cultura, nell’estetica, nella moda, nell’immaginario degli anni Settanta e per sempre.

Un fotografo, Mick Rock, che tutti definiscono leggendario, ma il cortocircuito interessante è che leggendario lo è divenuto creando leggende. Leggende musicali, per essere precisi. Non mi voglio dilungare su note biografiche riguardanti Michael David Rock (così all’anagrafe, dunque quel cognome che sembra inventato appositamente per lui è invece reale), già pubblicate ovunque in seguito alla sua morte. Un passaggio della sua vita è però da evidenziare: era laureato a Cambridge in letteratura medievale, e la sua immaginazione visionaria si nutriva di ottime letture, poeti romantici come poeti maudits, e questo spessore letterario è un punto di partenza imprescindibile. Tanta bellezza, intrisa di sogni altissimi e di morte, di amori folli e di solitudine, da quelle pagine esce andando a detonare col rock anni ’70, e più profondamente – almeno all’inizio – con quello che viene definito Glam.

Negli anni successivi, e fino ai nostri giorni, Mick Rock ha fotografato trasversalmente molti generi musicali e i relativi protagonisti; tra i moltissimi, per citarne qualcuno, Lou Reed, Iggy Pop, i Queens, Madonna, Michael Bublé, Miley Cyrus, i Daft Punk, fino a Lady Gaga.

Ma tornando ai primi anni ’70, dopo aver iniziato fotografando i concerti a cui da appassionato assisteva, l’incontro del destino è quello ovviamente con David Bowie. Insieme i due fanno una cosa che sembra una parola antica: inventano. Inventano nuove e variabili identità possibili, inventano un riscatto che partendo da condizioni svantaggiate aspira alla bellezza e alla magia. Ecco uscire allo scoperto la formazione e tutte le letture di Mick Rock che irrompono dentro la psichedelia di quegli anni, con la complicità totale di Bowie. Tutto è nuovo e mai visto, ambiguità sessuale compresa – ecco la rivoluzione – e l’alieno David, con quei colori, quagli abiti, quelle pose, quelle allusioni e quegli sguardi, apre un nuovo universo, in cui i giovani immediatamente atterrano per sentirsi liberi di essere qualsiasi cosa vogliano essere.

Inizia da qui un processo culturale che ha segnato intere generazioni. Prima la musica si ascoltava e basta, ora la musica è anche da vedere. E’ un percorso che arriva fino a oggi, con una enorme, siderale differenza: se era genuino allora, è invece generalmente artificioso oggi. Il Glam poneva a fianco della componente musicale una costante performance artistica a tutto campo. E già solo la sintonia tra un musicista e un fotografo – sia pure geniali, va detto – poteva produrre icone capaci di incidere sulla società, addirittura sulla percezione di sé per milioni di giovani. Il tutto, a ben guardare, senza particolari effetti speciali: le foto di Mick Rock sono, tecnicamente, abbastanza semplici. Tutta l’intensità dirompente è nel soggetto, in come guarda, in quello che fa e soprattutto in ciò a cui allude. Grande lezione che sarebbe terapeutico recuperare, lontani da un anacronistico effetto nostalgia ma con la voglia di osare senza le direttive di un ufficio marketing.

Ripetute citazioni di quell’estetica e di quel tempo, e direttamente di David Bowie, ci sono oggi offerte da Achille Lauro. Se ci pensiamo, una connessione potrebbe anche esistere nel momento in cui si considera che Achille Lauro ha iniziato come rapper. Anche la cultura Hit Pop ha un’estetica identitaria seguita da moltissimi giovani, e crede nella possibilità di libertà e riscatto (da sottocultura, emarginazione e povertà) attraverso la musica. Ma è stata colonizzata dai brand e l’elemento “soldi” è divenuto centrale, dunque altro che rivoluzione!

L’Achille Lauro attuale si propone, però, come esponente di un nuovo ipotetico Glam attualizzato, pieno di riferimenti a quegli anni mitologici – ma non sappiamo quanto realmente trasgressivo dietro la pura teatralità.

Ma in questo passaggio è proprio la fotografia ad aver cambiato radicalmente ruolo e posizione: se allora inventava, ora sancisce. Mick Rock ha creato l’identità visiva di David Bowie (e non solo la sua) sulla base di un rapporto personale di fiducia e amicizia: dallo scambio e dal confronto nasceva la creatività, e con la creatività si rafforzava il rapporto personale, insomma un circolo virtuoso dove il fattore umano era centrale.

Oggi a decidere chi deve fotografare Achille Lauro è il brand Gucci o chi per lui, e le immagini risultanti rappresentano una vera e propria campagna. Nulla di male se Gucci veste Achille Lauro e i due realizzano una ricca collaborazione commerciale; ma tra essere qualcosa e indossare qualcosa c’è una bella differenza. E quale fotografo viene incaricato di questa campagna? Bruce Gilden. Per chi non lo sapesse, Gilden è forse il più famoso al mondo tra i fotografi di street photography. Il fotografo, in questo caso, più che creare mette a disposizione il suo stile per seguire scelte già fatte da chi decide le strategie di comunicazione.

Se un paradosso esiste – forse solo apparente, si perdoni la nostra ingenuità – è quello di individuare un “fotografo di strada” per ritrarre Achille Lauro proprio dopo che egli ha abbandonato artisticamente la strada (ovvero il rap).

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