di Giulio Vulcano, ricercatore e attivista

La crescita economica dipende dall’aumento di produzione e consumo di risorse, generando effetti dannosi oltre i limiti naturali e sociali, erodendo la biodiversità, la stabilità climatica, la salute e il benessere. Le evidenze dimostrano che né il disaccoppiamento completo tra crescita e impatti, né un’economia circolare al 100% (specie se legata alla crescita) sono fisicamente possibili. Sono i messaggi chiave che emergono nel 2021 dal rapporto “Crescita senza crescita economica” dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) e dai suoi studi prospettici di scienze complesse.

Secondo l’EEA la post-crescita, l’economia della ciambella, la decrescita sono alternative che offrono preziose intuizioni per ripensare e riorganizzare il progresso. Le politiche per un futuro sostenibile e giusto richiedono non tanto soluzioni tecnologiche e digitali quanto profondi cambiamenti nelle pratiche sociali, nell’immaginazione e nei modi di produzione e consumo. La crescita è radicata culturalmente e istituzionalmente perciò le barriere al cambiamento vanno affrontate in modo conviviale.

Questi risultati dell’EEA sono in sintonia con gli studi olistici che Ispra sta conducendo dal 2017 sugli sprechi dei sistemi alimentari e la resilienza socioecologica. Entrambi sono presentati, discussi e aperti alla partecipazione del pubblico italiano nel seminario online Ispra del 5 novembre 2021, di cui sarà disponibile anche la registrazione.

I sistemi alimentari, soprattutto quelli intensivi e zootecnici, sono le maggiori cause dell’allarmante superamento dei limiti planetari ecologici e sociali, in particolare quelli di alterazione della biodiversità, fondamentale poiché da essa dipende la stessa sicurezza alimentare della popolazione. Alcune importanti istituzioni internazionali riconoscono che le politiche e le misure di protezione, rigenerazione e valorizzazione della biodiversità dovrebbero andare oltre il paradigma della crescita. Si tratta di elaborare scenari condivisi per azioni a protezione della biodiversità integrate in attività umane socioecologiche. Se resta invece inalterato il modello di crescita i processi economici che utilizzano la biodiversità (“bioeconomia”), pur tendendo alla “circolarità”, continueranno ad aumentare i loro impatti negativi.

Come nel caso del recupero e riciclo alimentari che se pur utili, non sono efficaci quando si affidano alla continua sovrapproduzione e sovraofferta di eccedenze per svilupparsi, accelerando così il medesimo paradigma economico. Un modello che si concentra sul miglioramento dell’efficienza unitaria, ma che nel complesso comporta enormi importazioni di risorse, impatti ambientali e sociali anche delocalizzati e paradossali amplificazioni dei consumi e delle fragilità.

Le attività bioeconomiche quasi-circolari dovrebbero sostituirsi e non sommarsi ai processi non circolari, secondo principi e condizioni di coerenza, equità, efficacia, sufficienza e rinnovabilità delle risorse. Nel sistema alimentare ciò comporta ridurre l’enorme sovrapproduzione di eccedenze e la densità dei fabbisogni a limiti “fisiologici”. Ciò in base alle capacità naturali locali e ai metodi agroecologici di rigenerazione quasi-circolare che, in connessione con reti solidali, usano più parsimoniosamente le risorse, liberando le potenzialità della diversità biologica e della pluralità culturale.

In Italia lo spreco sistemico è stimato ad almeno il 60% della produzione, impegnando da solo circa il 50% delle capacità naturali di rigenerazione. Per tornare in condizioni di stabilità si stima sia necessario ridurlo ad almeno un quarto dell’attuale (-75%).

Questa urgente resilienza dovrebbe fondarsi più che sugli attuali dubbi riformismi incrementali, prima di tutto su reali obiettivi di equilibrio ecologico, giustizia sociale e su percorsi partecipativi di profonda trasformazione strutturale del sistema alimentare che sperimentino principalmente:

– riduzione assoluta dei consumi di prodotti/servizi e di risorse, soprattutto per il Nord globale e i ricchi;
– reale democratizzazione ed equità dei valori e dei rapporti tra i diversi soggetti coinvolti;
– sviluppo di un “ecosistema” autorganizzato di reti alimentari locali, ecologiche, solidali e di piccola scala, in grado di prevenire strutturalmente gli sprechi e gli impatti negativi (fino al 90% in meno);
diete sane per la salute e per il pianeta privilegiando prodotti vegetali e non iperprocessati;
transizione verso una riduzione consapevole dei fabbisogni demografici, soprattutto nel Nord globale;
– riduzione degli usi non alimentari di prodotti edibili e del consumo di acqua e suolo agricolo/naturale.

È quindi urgente riconvertire l’esistente, preservando e permettendo la replicazione orizzontale (senza ingrandirle) delle piccole comunità virtuose che vivono in modo semplice e armonioso con l’ambiente naturale. Esse offrono ispirazione per diffondere l’innovazione sociale locale e organizzare la cooperazione globale.

Per approfondire si veda qui e qui

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