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Larry Miller, il manager della Nike rivela il suo segreto: “Ho ucciso un ragazzo a colpi di pistola. Ogni giorno penso a quello che ho fatto”

Nascondere una segreto del genere alla lunga è logorante e così, dopo 50 anni di incubi ed emicranie tanto forti da spedirlo in ospedale, ha deciso di liberarsi di questo peso, raccontando la sua vera storia. Perché "un errore, anche il peggiore, non può controllare quello che succederà nelle nostre vite"

di F. Q.

Dopo più di 50 anni ha deciso di rivelare il terribile segreto che ha custodito per tutta la vita perché questo lo stava “mangiando dall’interno”. Larry Miller, top manager della Nike di cui è il presidente del marchio Jordan, ha ucciso un ragazzo a colpi di pistola nelle strade di Philadelphia, negli Stati Uniti. L’omicidio è avvenuto il 30 settembre del 1965: Miller, ora 72enne, all’epoca aveva solo 16 anni e faceva parte di una gang di strada: per tutto questo tempo non ha detto niente a nessuno, né alla sia famiglia, né alla moglie, solo nel 2003 aveva trovato il coraggio di parlarne con la figlia maggiore. Ora, però, ha deciso di rompere il silenzio pubblicamente e raccontare per filo e per segno come sono andate le cose. Lo ha fatto in un libro – chiaramente autobiografico – Jump: My Secret Journey from the Streets to the Boardroom, scritto con la figlia maggiore Laila Lacy: uscirà nelle librerie il prossimo anno, come lui stesso ha annunciato in un’intervista a Sports Illustrated rivelando il suo segreto.

“Eravamo tutti ubriachi, ero in preda alla nebbia. Subito dopo mi dissi: oh, merda, che ho combinato? Mi ci sono voluti anni per capire il vero impatto di quello che avevo fatto. Non avevo alcun motivo. Per anni sono scappato da tutto questo. Ho cercato di nasconderlo sperando che la gente non lo scoprisse”, ha raccontato Miller ricostruendo i fatti. Il manager ha spiegato infatti di aver sparato per vendicare uno suo amico, ucciso a pugnalate durante una rissa tra bande di strada: così quel 30 settembre del ’65 bevve una bottiglia di vino con tre amici e poi scese in strada, all’angolo tra la 53esima e Locust Street a West Philadelphia: vide un ragazzo che camminava e gli sparò un colpo di calibro 38 senza motivo, uccidendolo. La vittima era il 18enne Edward White: non lo conosceva nemmeno e, oltretutto, non faceva parte di alcuna gang: “Questo mi rende ancora più difficile accettare ciò che ho fatto, perché non c’era nessun motivo. Non c’era nessuna ragione valida perché succedesse, penso a quello che ho fatto ogni giorno”, ha confidato ancora Miller.

Per quell’omicidio scontò la sua pena in carcere: quando uscì, aveva 30 anni e una laurea alla Temple University. Non era più il delinquente di strada che era stato da ragazzo, con la fedina penale segnata dai continui dentro e fuori dalla prigione per svariati reati: era un 30enne determinato a riscattarsi e fare carriera. Neanche a dirlo, ci riuscì: prima gli esordi alla Kraft, poi a Campbell Soups, infine alla Nike. E mai una parola su quell’omicidio.

Per anni sono fuggito da questa storia, ho provato a nasconderla nella speranza che la gente non la scoprisse”, ha raccontato ancora alla rivista sportiva sottolineando di non aver mai comunque mentito, neanche ai colloqui di lavoro. Ma nascondere una segreto del genere alla lunga è logorante e così, dopo 50 anni di incubi ed emicranie tanto forti da spedirlo in ospedale, ha deciso di liberarsi di questo peso, raccontando la sua vera storia. Perché “un errore, anche il peggiore, non può controllare quello che succederà nelle nostre vite. La speranza è che la mia storia fornisca ispirazione a chiunque sia stato in prigione e una lezione su come la società li vede. Voglio assicurarmi che la società comprenda che le persone incarcerate possono dare un contributo”.

Quando ha iniziato a scrivere il libro, un po’ alla volta, ha cominciato a rivelare la notizia in Nike, a Michael Jordan, al commissioner della Nba Adam Silver: “È una storia incredibile di seconde opportunità“, ha dichiarato un portavoce della Nike, spiegando che l’azienda sostiene Miller e una serie di politiche che promuovono il reinserimento dei detenuti. “Siamo orgogliosi di Larry e della speranza che la sua vicenda può offrire”.

Ps. Le sue emicranie sono sparite non appena ha incominciato a parlare apertamente della vicenda.

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