Anche gli anni del “migliore” come governatore della Banca d’Italia sono costellati da vicende molto controverse e ancora oggi al centro di scontri e polemiche, basti pensare al caso Mps. Con l’euro, peraltro, il compito principale dell’istituto di via Nazionale resta proprio la vigilanza bancaria. Dopo l’esperienza in Goldman Sachs (leggi qui), nel 2006 Mario Draghi torna a Roma, chiamato al vertice di Bankitalia dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, su “segnalazione” di Carlo Azeglio Ciampi (allora al Quirinale) e input di Gianni Letta. Il suo predecessore, Antonio Fazio, è stato travolto dallo scandalo dei “furbetti del quartierino” impegnati nel grande Risiko delle fusioni bancarie.

Il suo ruolo in quella partita fondamentale per il futuro del sistema bancario italiano è ricostruito nella lunga inchiesta collettiva di FQ MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez, nel numero in edicola da sabato 16 ottobre (l’inchiesta è firmata da Ivo Caizzi, Fabrizio d’Esposito, Carlo Di Foggia, Luigi Franco, Marco Palombi, Fabio Pavesi, Mario Portanova, Thomas Mackinson). Quasi un libro, in cui vengono raccontate in dettaglio le “Cinquanta sfumature di Draghi”, le sue luci e le sue ombre, queste ultime regolarmente rimosse dalla grottesca estasi mediatica che ne ha accompagnato l’arrivo a palazzo Chigi. Ecco qualche “pillola” relativa a questa fase della sua carriera (leggi le anticipazioni precedenti sul giovane Draghi e sugli anni al Tesoro).

Il peccato originale di Mps è l’acquisto di Banca Antonveneta nel 2007, un’operazione che – ricostruisce FQ MillenniuM – si inserisce nel Grande gioco di quegli anni fra banchieri italiani ed europei. Il venditore è lo spagnolo Banco Santander guidato dal potente Emilio Botín, legatissimo all’Opus Dei, appena stoppato dalla finanza cattolica guidata da Giovanni Bazoli dall’ingresso nel gioiello Intesa-San Paolo. Il Santander aveva acquistato solo pochi mesi prima Antonveneta per 6 miliardi dallo spezzatino di Abn Amro. Il gruppo senese guidato da Giuseppe Mussari – persidente dell’Abi ne spende 9 e se ne accolla altri 7,5 di debiti. L’operazione si chiude nell’estate del 2008, quando le avvisaglie della crisi finanziaria mondiale si sono già manifestate, e scassa i conti dell’istituto, costretto a nascondere dietro ai “derivati” (i famosi Alexandria e Santorini) le emorragie a bilancio.

Cosa fa la Vigilanza di Banca d’Italia che pure sa in che condizioni è Antonveneta, già al centro dello scandalo dei “furbetti”. A fine 2006, regnante Draghi, gli ispettori tornano nella banca padovana e trovano una situazione disastrosa: 4 miliardi di sofferenze, più un altro miliardo di incagli e la previsione di nuove perdite per 2,8 miliardi; altri 1,8 miliardi sono “a rischio di decadimento qualitativo”, l’operatività della banca non funziona. Il rapporto, spedito da Padova a Roma, si conclude con una bocciatura totale (5 voti su 6).

Eppure, ricostruisce FQ MillenniuM anche sulla base di documenti giudiziari, il governatore non esprime alcuna perplessità ricevendo Mussari e il direttore generale di Mps Antonio Vigni il 26 novembre 2007. Quando Mussari, in quel momento anche presidente dell’Abi, decide di scalare Antonveneta telefona a Draghi. Gli illustra l’operazione e si sente chiedere “Ma i soldi li avete?”. La risposta è sì, ma come vedremo è, per usare un eufemismo, estremamente ottimistica. Il 17 marzo 2008 Draghi firma l’autorizzazione.

Emergerà poi che i conti di Mps sono “abbelliti” da un titolo derivato, il “Fresh”, collegato a un’operazione fatta con Jp Morgan. Il direttore generale di Bankitalia Fabrizio Saccomanni racconterà ai magistrati che indagano sul caso Mps di un incontro “ai primi di marzo” in cui i vertici della banca di Siena, al cospetto di Draghi e dei suoi uomini, parlano del Fresh. “Devo dire che quell’operazione era particolarmente complessa, in ragione dei contratti a essa collegati, e presentava degli aspetti di assoluta novità”. Bankitalia dirà poi di essere stata ingannata e multerà i vertici di Mps. Certo l’immagine di Mussari, banchiere “dilettante” per autodefinizione, che illustra “gli aspetti innovativi” del Fresh a Draghi e agli altri dirigenti della Banca centrale, che non capiscono, fa impressione.

(4. Continua)

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