E Luce Fu. Magari. Se fosse per l’Enel, brancolerei nel buio. E dove non c’è più neanche la certezza di accendere un interruttore meglio, forse, ritornare a lume di candela.

Intanto difendo il mio diritto di protestare. Sì, ma a chi? Per fare un reclamo ti suggeriscono di mandare un fax. Un fax? Chi di voi oggi possiede un fax. Siamo spalancati sul terzo millennio, ma se vuoi denunciare un disservizio, anzi una catena di disservizi, loro sono fermi a Jurassic time.

Ci sarebbe anche una terza via quella di mandare una e-mail a Enel energia e bla blabla… Cosa che ho fatto, nessuna risposta. O certo ci sarebbero anche i vari enti Agcom per la tutela dei consumatori. Ma anche lì nessuno ti fila. Sono i soliti posti scaldapoltrone a stipendio garantito.

Eppure leggo che Enel SpA è il più grande operatore elettrico d’Italia e la seconda utility europea quotata per capacità installata. È nata come ente pubblico nel 1962, con il nome di Ente Nazionale per l’energia elettrica. È stata trasformata in società per azioni nel 1992. Oggi è un’azienda multinazionale, che produce e distribuisce energia elettrica e gas in più di 31 Paesi del mondo, in particolare in Europa e America Latina, con milioni e milioni di utenti.

Provo a fare un sunto della odissea mia e di chiunque si imbatte nella burocrazia di fornitori: una casetta nel vicolame di Napoli, dove trovo ben due contatori. I precedenti inquilini se l’erano data a gambe, utenze staccate, nessuna traccia di bollette. Due contatori per la luce, due contatori per il gas. Dunque rotture di scatole quadruplicate. La santa pazienza mi lascia del tutto quando vengo rimbalzata da un numero verde all’altro. Nel frattempo sono bombardata di e-mail, ne conto 16 (alle quali sono sempre invitata a non rispondere).

Finalmente una voce gentile e comprensiva (da un lato c’è Madre Enel, dall’altro ci sono io, una, tra tanti milioni) ma mi getta nello sconforto quando ammette: “E’ molto strano, non mi è chiara la sua posizione”. E se non è chiara a lei, figuriamoci a me. Poi mi chiede: “Mercato libero o mercato vincolato?” E io chennesò. Prova a smanettare e aggiunge: “Speriamo di avere fortuna”.

Capito? Il colosso Enel da fatturato globale da capogiro si affida alla fatalità. Forse, per propiziarci la buona sorte dovrei mandargli il maxicorno che De Magistris voleva piazzare sul lungomare.

Il colmo si raggiunge quando mi arriva una lettera da E-distribuzione. Erano venuti, bontà loro, per l’allaccio ma si erano dimenticati di avvertirmi. Ovviamente in casa non hanno trovato nessuno (come si fa a vivere in una casa senza luce. Oops non ci hanno pensato). Nella lettera c’è altro numero verde da chiamare per fissare altro appuntamento. Chiamo, ovviamente non funziona.

Pazienza (non ne ho più), si ricomincia. Un’altra odissea.

Con lo spettro di una nuova crisi energetica, prezzi record. La luce con nuovo contratto mi costa 12 centesimi al kilowatt (a Milano la pago 7.5 al Kw). Il gas mi costa 44 centesimi al metro cubo (a Milano lo pago 38). C’è il libero mercato e avevo scelto Enel. Mi sono fidata come di una vecchia zia. Mi sono subito pentita.

Mi confortava un po’ l’idea che avesse avuto il monopolio fino al 2005 quindi dovrebbero conoscere benino la materia elettrica. Ma, dopo il decreto Bersani sul libero mercato, le cose anziché semplificarsi si sono complicate. Dunque non solo i più cari, ma anche – secondo la mia esperienza – i più inefficienti. Altro che bollette leggere e trasparenti tra balzelli e vari voci, accisa, Iva, servizi vari si paga di più della sola materia prima.

Leggo che Enel ha annunciato un programma di sviluppo per i prossimi cinque anni, che porterà ben 4000 assunzioni dirette entro il 2026 e creerà altri 12000 posti di lavoro grazie all’indotto. Speriamo che qualcuno di loro venga assunto alla voce: deburocratizzazione.

Intanto io cerco un santo o un eroe che mi faccia accendere l’interruttore a casa.

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