“Urla, suppliche, rumore di porte sfondate, sono questi, signora presidente, i rumori che accompagnano lo studio dei casi della cosiddetta Sindrome di Alienazione parentale, come ha notato la femminista Daniela Poggio. La disperazione di quei bambini rimane e appiccicata addosso e impedisce di dormire di pensare ad altro, impone di chiederci come sia possibile che in Europa, nella Patria dello Stato di diritto, in nome di una di una presunta sindrome rifiutata dalla comunità scientifica, madri e figlie siano allontanate. La chiamano pure ‘Sindrome della madre malevola’ o ‘Sindrome della madre simbiotica’ così, proprio per non lasciare dubbi al fatto che questaa presunta sindrome si nutre di gravissimi pregiudizi di genere”. Le avvocate Teresa Manente e Ilaria Boiano di Differenza donna, hanno censito dal 2018 al 2020, almeno 100 casi, in 8 casi su 10 il rifiuto è stato addebitato alla madre, in 9 casi su 10 il bambino non è mai stato ascoltato dai giudici, in 100 casi su 100, le madri sono state intimidite, limitate nella loro libertà, devono tacere e subire la più crudele delle violenenza la cosiddetta abliazone della maternità, così viene chiamata”.

Con queste parole incisive e toccanti, l’europarlamentare Pina Picierno si è rivolta al Parlamento europeo, poco prima del voto sulla risoluzione contenente misure urgenti a tutela delle vittime di violenza nei casi di affidamento dei figli. Il voto ha avuto esito positivo: 510 a favore, 31 contrari e 141 astensioni. Per l’Italia hanno votato contro Lega e Fratelli d’Italia mentre Forza Italia si è astenuta.

Nel testo approvato si legge che il Parlamento europeo “esprime preoccupazione per l’impatto dei pregiudizi e degli stereotipi di genere, che spesso portano ad una risposta inadeguata alla violenza di genere contro le donne e ad una mancanza di fiducia nei loro confronti, in particolare per quanto riguarda le accuse ritenute false di abusi sui minori e di violenza domestica; condanna l’uso, l’affermazione e l’accettazione di teorie e concetti non scientifici nei casi di affidamento che puniscono le madri che tentano di denunciare abusi sui minori o violenza di genere, impendendo loro di ottenere l’affidamento o limitandone i diritti genitoriali: sottolinea che la cosiddetta sindrome di alienazione parentale e concetti analoghi, che si fondano su stereotipi di genere, operano a scapito delle donne vittime di violenza, colpevolizzandole”.

L’approvazione di questa risoluzione rinforza il contrasto alla vittimizzazione istituzionale. Un problema che le attiviste dei centri antiviolenza denunciano da tempo nella lunga battaglia contro stereotipi e pregiudizi che fanno scomparire la violenza nei procedimenti cvili per l’affidamento dei figli.

La colpevolizzazione delle madri, quando i figli rifiutano il padre, è diventata una prassi in molti tribunali civili, in particolare nel nord est: le conseguenze della violenza assistita sui bambini viene ignorata insieme alla paura del padre violento e si impone, da parte dei ctu, la convinzione che un uomo che commetta violenza sia un buon padre. Ovvero tra le mura dei nostri tribunali, nel 2021, si stabilisce implicitamente che picchiare, insultare, denigrare una donna sia, tutto sommato, un modello educativo e relazionale buono ed accettabile.

Il problema è difficile da affrontare perché si regge su un retaggio culturale misogino e nelle istituzioni ci sono scarse competenze sulla violenza. La scorsa estate, la Commissione sul femminicidio ha pubblicato un rapporto che mette in evidenza una mancanza di specializzazione sulla violenza domestica da parte dei giudici, un problema che era stato rilevato anche da uno studio DiRe e che ora, dopo il no alla Pas da parte del Parlamento europeo si augura che in Italia “si possano assumere i contenuti della risoluzione in merito alle dispute per l’affidamento dei bambini e delle bambine”. Anche la sottosegretaria al Mef, Cecilia Guerra si è espressa positivamente sull’indicazione del Parlamento europeo.

Nei giorni in cui il Parlamento Europeo approvava questa risoluzione sono sorti ancora problemi con una parte politica che manifesta insofferenza nei confronti dello svelamento della violenza nelle relazioni intimità. Resi sordi e ciechi oltreché parecchio tonti da una ideologia che esalta il familismo, molti politici sono per la conservazione della famiglia ad ogni costo, anche quando il prezzo da pagare è quello di una donna ammazzata ogni tre giorni o il rischio che le vittime tacciano per sempre. Il pressapochismo poi peggiora le cose.

Il 5 ottobre scorso, il Consiglio Comunale di Perugia ha presentato un ordine del giorno intitolato “Finché violenza non ci separi” che propone corsi prematrimonali e viaggi di coppia per “staccare la spina” quando si è già nel “tunnel della paura”, l’offerta è resa “più appetibile” da “gadget forniti dagli sponsor del progetto”. Una proposta da burletta che indigna e che è stata giudicata dalla presidente DiRe, Antonella Veltri, “pericolosa e denigratoria per le vittime e arrogante nei confronti di chi da decenni accompagna le donne nei percorsi di uscita dalla violenza” in quanto “nega la violenza nelle relazioni di intimità per ricondurla al conflitto di coppia, cosa che avviene costantemente nei tribunali civili e per i minorenni e che porta alla vittimizzazione secondaria delle donne, e dei loro figli e figlie, quando cercano di separarsi dai maltrattanti”.

Molte associazioni si sono attivate insieme ai Centri antiviolenza umbri per chiedere ad Andrea Romizi, sindaco di Perugia, e al Consiglio Comunale di ritirare l’ordine del giorno perché prevede interventi confusi e pericolosi in aperto contrasto con la normativa sul tema della violenza di genere.

@nadiesdaa

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