La Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, presieduta da Valeria Valente, ha bocciato i tribunali civili e rimandato a settembre le Procure. La metafora, se si leggono gli atti, calza a pennello.

Nelle decisioni da prendere in materia di affido dei minori durante le separazioni, la violenza viene letta come “conflittualità”, negando giustizia alle donne che hanno denunciato maltrattamenti. Le cose vanno meglio, ma non bene, nelle Procure: il 10% degli uffici non hanno magistrati specializzati nella materia della violenza contro le donne e solo il 12,3% delle Procure incarica magistrati specializzati in violenza di genere e domestica.

La giudice Maria Monteleone durante la presentazione dei lavori della Commissione ha denunciato “la totale invisibilità della violenza contro le donne nei tribunali civili” quale “segno di arretratezza e di sottovalutazione del fenomeno”. I dati raccolti dalla Commissione, riferiti al triennio 2016-2018, sono sconfortanti. Il 95% dei tribunali civili non sono stati in grado di quantificare i casi di violenza domestica emersi nelle cause di separazione giudiziale e nei provvedimenti riguardo i figli e nelle Ctu- Consulenze tecniche d’ufficio.

La cancellazione della violenza nelle consulenze tecniche, come viene denunciato da tempo, porta a colpevolizzare le madri se ci sono problemi relazionali tra padri maltrattanti e figli. Nei casi peggiori, gli iter processuali si concludono con la decadenza della responsabilità genitoriale di madri che volevano proteggere i figli da abusi. Un’altra criticità è rappresentata dalla scarsa competenza sul fenomeno della violenza domestica da parte di magistrati, avvocati e consulenti del tribunale, questi ultimi scelti sulla base dell’iscrizione all’albo e non di specifiche conoscenze.

La Scuola Superiore della magistratura ha segnalato che, a livello centrale, sono stati realizzati solo sei corsi di formazione in tre anni, e sono state realizzate 25 iniziative di formazione a livello locale che hanno coinvolto un 13% di magistrati. Per quanto riguarda il Consiglio Nazionale Forense a livello nazionale sono stati realizzati in un triennio più di 100 eventi formativi ma vi hanno partecipato solo un 0,4%, in maggioranza civiliste. Evidenti criticità riguardano anche gli ordini degli psicologi che hanno realizzato solo 24 corsi di formazione in tre anni.

I risultati della Commissione coincidono con l’indagine realizzata dal Gruppo avvocate D.i.Re,”Il (non) riconoscimento della violenza domestica nei tribunali civili e per i minorenni”, condotta dal 1 gennaio 2017 al 30 giugno 2019 e presentata ieri.

I tribunali civili e per i minorenni non citano mai la Convenzione di Istanbul come riferimento normativo, anche se in tutti i procedimenti giudiziari le avvocate avevano depositato la documentazione comprovante la violenza subita dalla donna e dai minori: denunce (94,4%), referti (100%), misure cautelari emesse in sede penale (98,1%), decreti di rinvio a giudizio (96,3%), sentenze di condanna (88,9%), relazioni del Centri Antiviolenza (63%).

“Ancora oggi nei tribunali, l’obiettivo principale è conservare ‘il rapporto con la prole’” spiegano le avvocate Titti Carrano ed Elena Biaggioni, senza valutare le violenze paterne perché “la convinzione radicata è che un uomo maltrattante possa essere un buon genitore”.

Altre criticità riguardano l’affidamento dei figli. Nell’ 88,9% dei casi presso il Tribunale ordinario e nel 51,9% dei casi presso il Tribunale per i minorenni, è stato disposto l’affidamento condiviso tra i genitori anche in presenza di denunce, referti, misure cautelari emesse in sede penale, decreti di rinvio a giudizio, sentenze di condanna e relazioni del centri antiviolenza. Esponendo le donne al controllo e alle violenze degli ex.

Riguardo alle Ctu nell’83% dei casi i quesiti loro posti dal giudice non sono definiti in base al caso preso in esame, e nel 94% dei casi non sono poste domande in merito alla violenza subita e/o assistita. Si tratta cioè di quesiti che ancora una volta indagano quello che i magistrati ritengono essere un conflitto tra i genitori e non una situazione di violenza. Il 74,1% delle avvocate dichiara che l’alienazione parentale (Pas) o altri comportamenti manipolatori da parte della madre sono citati nelle relazioni delle Ctu. E per quanto riguarda i servizi sociali vi è ancora l’imposizione della mediazione anche se è vietata dalla Convenzione di Istanbul nei casi di violenza.

Alla luce di questi dati è necessario ripensare urgentemente il funzionamento della giustizia. Antonella Veltri, presidente D.i.Re, ha dichiarato che i centri antiviolenza continueranno “a impegnarsi per porre fine alla vittimizzazione secondaria di donne e minori, una violenza istituzionale che non dovrebbe esistere più in un paese che ha firmato e ratificato la Convenzione di Istanbul”.

@nadiesdaa

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