Era attesa e la possibilità che la sentenza della Corte costituzionale polacca creasse un cortocircuito, solo l’ultimo, con l’Unione europea era concreta. Infatti la Corte, guidata dalla giudice Julia Przylebska, ha stabilito che alcuni regolamenti dell’Ue non sono compatibili con la Carta dello stato polacco.

Secondo i togati, tale sentenza si riferisce alle competenze dello Stato che non sono state trasferite agli organi dell’Unione europea. Una lettura che potrebbe causare conseguenze anche economiche per Varsavia, a partire dal mancato stanziamento dei fondi del Recovery Fund. Sono stati numerosi infatti i motivi di attrito legati al rispetto dello stato di diritto tra il governo polacco e le istituzioni di Bruxelles. Nel caso in cui proprio su questi temi la Polonia stabilisse che le leggi nazionali debbano essere considerate prevalenti su quelle europee, ecco che il vincolo messo sui fondi Ue per superare la crisi dovuta al Covid-19 potrebbe bloccare lo stanziamento. Il contezioso riguarda soprattutto l’autonomia mancata del sistema della giustizia, messo sotto il controllo del partito al governo Diritto e Giustizia del premier Mateusz Morawiecki.

Da parte sua, dall’Unione europea si sono detti “preoccupati” per la decisione della legge polacca. “La nostra posizione è chiara. La legge dell’Ue ha il primato su quella nazionale. Le decisioni della Corte di giustizia dell’Ue sono vincolanti. La Corte di giustizia è l’unica che può stabilire” la compatibilità tra la legge Ue e quella nazionale. “Useremo tutti gli strumenti a nostra disposizione per proteggere” questi principi, ha dichiarato il commissario Ue alla Giustizia, Didier Reynders, ricordando anche che presto saranno inviate le prime notifiche sulla base del meccanismo che condiziona l’erogazione dei fondi del budget Ue. Il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, ha dichiarato che la sentenza di oggi “non può restare senza conseguenze. Il primato del diritto Ue non può essere messo in dubbio. Violarlo significa sfidare uno dei principi principali dell’Unione. Chiediamo alla Commissione di adottare le azioni necessarie”.

E un primo passo verso lo scontro è già stato compiuto sia da Varsavia che da Budapest. Polonia e Ungheria hanno infatti posto il veto sulle conclusioni del Consiglio Ue Giustizia relative alla strategia della Commissione sui diritti dell’infanzia. Ad annunciarlo, la ministra ungherese della Giustizia, Judit Varga: “Continueremo a resistere alla pressione della lobby Lgbtq. Poiché alcuni Stati hanno insistito strenuamente affinché gli attivisti Lgbtq fossero ammessi nelle nostre scuole, io e il collega polacco abbiamo dovuto usare il veto”. La strategia prevedeva azioni volte a porre fine alle mutilazioni genitali, contrastare il bullismo online nei confronti dei giovani Lgbtq e migliorare la libera circolazione per le famiglie arcobaleno. “La lotta alla violenza sui minori – ha aggiunto Varga in un post su Facebook nel quale spiega le ragioni del veto – o alla prostituzione minorile, o anche la garanzia dei diritti dei bambini con bisogni educativi speciali o disabilità, o ancora il rifiuto di qualsiasi forma di discriminazione sono per loro meno importanti che garantire diritti extra alla lobby Lgbtq”.

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